Per pentirsi, bisogna amar Dio! Giovanni Staupitz

Per pentirsi, bisogna amar Dio!
Discorso di Giovanni Staupitz a Lutero.




Giovanni Staupitz (1465 – 1524) era vicario generale degli Agostiniani di tutta la Germania.  Lo studio della Bibbia, della teologia di Agostino, la conoscenza di sé, le sue stesse battaglie come quelle di Lutero contro i naturali appetiti e le malizie della sua mente, lo condussero al Redentore. Nella sua fede in Cristo trovò la pace dell'anima; e più di ogni altra cosa, ragionava del continuo nella mente sulla dottrina dell'elezione di grazia. 
La rettitudine della sua vita, la profondità della scienza, l'eloquenza della parola ed una maestosa appariscenza lo raccomandavano presso i suoi contemporanei.
Egli gemeva per la corruzione dei costumi e gli errori di dottrina che desolavano la Chiesa; e ne fanno fede i suoi scritti sull'amore di Dio, intorno alla fede cristiana, intorno la somiglianza con la morte di Cristo, e finalmente la testimonianza di Lutero. Se non che la dolcezza e la perplessità della natura sua, e il desiderio di non uscire dai termini assegniategli, lo rendevano più adatto ad essere il ristoratore di un convento anziché il riformatore della Chiesa. Portò il Vangelo e iniziò allo studio della Bibbia  Martin Lutero, il quale nella sua vita monacale si era martirizzato a morte  per le sue continue battaglie contro il peccato e nella lotta per poter guadagnare il paradiso e la salvezza con i suoi sforzi.
Come testimonia il suo biografo Melantone, mai la chiesa romana, ebbe un monaco più pio di Lutero, mai un monastero vide un'operosità tanto sincera, e più instancabile per acquistarsi l'eterna felicità. 

Quando Lutero divenne riformatore e disse che il cielo non si guadagnava, sapeva bene quello che stava dicendo. Lutero scrisse al duca Giorgio di Sassonia : "io fui veramente un monaco pio, e ho seguito le regole del mio Ordine con maggiore severità di quella  che potrei esporre con parole. Se monaco vi fu mai degno di entrare in cielo in virtù delle sue pratiche fratesche, quello di certo sarei io. Di questo possono rendere testimonianza tutti i religiosi che mi hanno conosciuto; e se ciò avesse dovuto durare un lungo tempo, mi sarei martirizzato a morte, a furia di vigilie, di preghiere, di letture, e di altri lavori". 

Dio lo aveva condotto affinché imparasse a conoscere sé stesso, a disperare delle proprie forze e della propria virtù. 
I monaci ed i teologi del tempo, lo invitavano a far opere per soddisfare la giustizia di Dio. Ma quali opere (egli pensava) potrebbero uscire da un cuore quale il mio? In quale modo potrei io con opere, insozzate nel loro stesso principio, tenermi dinnanzi alla santità del mio giudice? "Io mi trovavo un gran peccatore agli occhi di Dio (disse), né io pensavo che mi fosse possibile di disarmare la collera con i miei meriti". .

Staupitz trovò Lutero come un giovane di mezza statura, mal ridotto dallo studio, dalle astinenze, dalle vigilie, da potersi contare le sue ossa. I suoi occhi erano semispenti, il portamento triste, e lo sguardo palesava un'anima agitata, in preda a mille combattimenti. Si accostò a lui con amorevolezza, cercando ogni via per vincerne la timidezza, la quale in lui naturale, era resa maggiore dal rispetto e dal timore che gli venivano ispirati da un uomo di così grado eminente.
Il cuore di Lutero, era sino ad ora tenuto chiuso a causa dei duri trattamenti dei suoi superiori ma si aperse alla fine e si dilatò ai dolci raggi della carità. 
Il cuore di Staupitz rispose al cuore di Lutero. Il vicario generale lo intese; e il monaco sentì per lui una confidenza che non aveva mai sentito verso alcuno. Gli aperse la ragione della sua angoscia e gli pose sott'occhio gli orribili pensieri che lo straziavano; e allora incominciarono nel chiostro di Erfurt intrattenimenti pieni di sapienza e di istruzione. Disse Staupitz:

"Più di mille volte ho giurato al Santo nostro Iddio di vivere santamente, nè mai tenni il mio giuramento.
D'ora innanzi non voglio più fare un tal giuramento sapendo purtroppo che non potrei osservarlo.
Se Dio non vuol con me usare grazia per l'amore di Cristo ed accordarmi bontà  quando dovrò abbandonare questa terra, io non potrò mai con tutti i miei voti e con tutte le mie opere buone, sussistere dinanzi a Lui, e convenga che io perisca".

Lutero, il giovane monaco si sgomenta quando considera la giustizia divina; e palesa tutti i suoi timori al vicario generale: la santità ineffabile di Dio e la sovrana sua maestà lo spaventano; chi potrà reggersi quando egli comparità? 

Staupitz sa dove egli potesse trovare la pace ed insegna la via al giovane tribolato; e ripresa la parola gli dice:

"Perchè ti stai tribolando con tutte queste speculazioni con tutti questi alti pensieri?
 Volgi la mente alle piaghe di Gesù Cristo, al sangue da Lui per te sparso; da lì vedrai la grazia di Dio. Invece di martirizzarti per il tuo fallire, gettati nelle braccia del redentore; ed in Lui affidati, nella giustizia della Sua vita e nell'espiazione della Sua morte. Non arretrarti, non pensare che Dio sia in collera contro di te. 
Ascolta il figliuolo di Dio, Egli si è fatto uomo per darti certezza della divina grazia, e ti dice:  Tu sei la mia pecorella, tu intendi la mia voce, nessuno ti strapperà dalle mie mani."

Ma Lutero non sente in sé quel pentimento che lui crede necessario a salvarsi; e risponde con la solita risposta delle anime timide ed angosciate: "E come potrò osare di credere alla grazia di Dio, sino a quando in me non ci sia una sincera conversione? Affinché egli mi accolga è necessario che io sia tutto cambiato... "

La sua venerabile guida gli dimostra: non si può avere vera conversione finché l'uomo teme Dio come un giudice severo. "Che direte voi (esclama Lutero) a tante coscienze alle quali sono prescritte mille insopportabili ordinanze per guadagnarsi il regno dei cieli?"

Allora riceve questa risposta dal vicario generale, la quale non gli pare cosa umana, ma parole piovute dal cielo:

"Non avrai vero pentimento, se non cominci dell'amore  e dalla Giustizia; e ciò che gli altri s'immagino essere il fine ed il compimento del pentimento, non è invece che l'inizio. 
Affinché tu sia ripieno di zelo per il bene, bisogna innanzitutto che tu sia ricolmo di amore verso Dio. Se vuoi convertirti, non correre dietro a tutte queste macerazioni a tutti questi martirii, ma ama chi ti ama per primo!


Lutero ascolta, e ancora ascolta. Queste consolazioni lo ricolmano di una gioia ineffabile, non mai sentita, e di una luce nuova che gli rischiara l'intelletto. "E' Gesù Cristo (dice in cuor suo), è Gesù Cristo medesimo, che in così mirabile modo mi consola con queste dolci e salutari parole".

E queste parole veramente penetrarono nel cuore del giovane monaco, alla maniera di un'acuta freccia di un valido balestriere. Per pentirsi bisogna amare Dio ! E rischiarito da questa nuova luce, si mette a considerare le Scritture e ne sottolinea tutti i passi in cui si parla di pentimento e di conversione. Queste parole sino ad allora da lui tanto temute, divennero piacevoli e gli sorridevano e danzavano. "Nel tempo passato, sebbene dissimulassi con cura dinnanzi a Dio lo stato del mio animo, e che mi sforzassi di esprimergli un amore, dirò così, di sola apparenza, non c'era nella Scrittura nessuna parola più amara di quella del pentimento; e adesso non c'è n'è alcuna che mi sia più soave, più cara di questa. Oh quanto sono dolci i precetti di Dio, quanto non si leggono solo nei libri ma nelle preziose piaghe del Salvatore". 

Lutero, nel frattempo, consolato dalle parole di Staupitz, cadeva pur qualche volta nello smarrimento. Il peccato si presentava alla sua timida coscienza; e allora alla letizia della salvezza si sostituiva l'antica sua disperazione. "Oh mio peccato! Esclamò tre volte Lutero in presenza del vicario generale e con l'accento del più vivo dolore. E questo a lui:
"E che? vorresti tu forse non essere peccatore che in miniatura e  non avere perciò che un Salvatore in miniatura?" poi aggiunse con autorità: "Sappi che Gesù Cristo è Salvatore, anche di coloro che sono grandi, veri peccatori, e degni di una eterna dannazione".

Ciò che teneva in sollecitudine l'anima di Lutero, non era unicamente il peccato; perché alle inquietitudini della coscienza di univano quelle della ragione. Se lo spaventavano i santi precetti della Bibbia, certe dottrine del Libro divino accrescono i suoi tormenti. La verità, che è lo strumento di cui si serve Iddio per portare pace all'uomo, deve necessariamente incominciare dal rimuoverlo da quella falsa confidanza che lo conduce alla perdizione. La dottrina dell'elezione conturbava la mente del giovane monaco, e lo sbalzava in un campo malagevole da percorrere. Doveva egli credere che fosse l'uomo, il quale per primo sceglie Dio, o invece, che Dio fosse il primo a scegliere l'uomo? La Bibbia, la storia, la quotidiana esperienza, gli scritti di Agostino, tutto gli aveva dimostrato che conveniva sempre e in tutte le cose risalire in ultimo a quella sovrana volontà per la quale tutto esiste, e dalla quale tutto dipende. Ma il suo fervido intelletto avrebbe voluto penetrare più dentro nell'abisso del divino consiglio, e sviluppare i misteri e vedere l'invisibile, ed intendere l'incomprensibile. Staupitz lo interruppe, e lo invitò a non pretendere di scandagliare un Dio nascosto alla nostra corta vista, e accontentarsi di ciò che a noi è stato manifestato in Cristo Gesù:


"Considera (gli disse) le piaghe del Salvatore e vi scorgerai risplendere con chiarezza il consiglio di Dio verso i mortali . Fuori di Gesù Cristo, noi non possiamo avere conoscenza di Dio. In Cristo, troverete ciò che io  sono, ciò che io comando, ha detto il Signore. Voi non lo troverete in nessun'altra parte altrove né in cielo né sulla terra".

Ma l'opera non era però compiuta; il vicario generale l'aveva preparata; e Dio voleva metterla in atto servendosi dell'uomo più umile al mondo. La coscienza del giovane agostiniano non era ancora tranquilla; e la stanca carne divenne inferma sotto gli sforzi, sotto la tensione dell'anima sua; una malattia colse Lutero che lo condusse in fin di vita. Era allora il secondo anno del suo ingresso alla religione; e all'avvicinarsi della morte, tutte le sue angosce, tutti i suoi terrori tornarono ad accerchiarlo. I suoi peccati, posti a paragone con la santità di Dio, infransero l'anima sua. Un giorno mentre era in preda alla disperazione, un vecchio monaco si avvicinò al suo letto e gli portò parole di consolazione. Lutero gli aperse l'animo suo e gli fece palesi i timori che lo travagliavano. Il venerando vecchio non era da tanto per poter seguire quest'anima in tutti i suoi dubbi, come aveva invece fatto Staupitz; ma egli sapeva il suo Credo, e ci aveva trovato di che consolare la sua anima; e sarà questo il rimedio che egli applicherà al giovane malato. Riconducendolo a quel simbolo degli apostoli che Lutero aveva imparato sin nella scuole di Mansfeld, il buon monaco con gran semplicità recitò questo articolo: Credo alla remissione dei peccati. Queste semplici parole dal pio religioso pronunciate con tanto candore in momento così decisivo, sparsero una grande consolazione nell'animo di Lutero :

"Io credo (disse egli a se stesso nel suo letto di dolore), credo nella remissione dei peccati" - Ah (aggiunse il monaco) non bisogna credere che i peccati siano solamente perdonati a Davide o a Pietro; perché questa è diabolica credenza; il comandamento di Dio è che noi crediamo che essi sono a noi stessi perdonati". Questo comandamento quanto fu dolce al povero Lutero! "Ecco (aggiunse il buon vecchio) ciò che dice san Bernardo nel suo discorso all'Annunciata: "la testimonianza che lo Spirito santo rende nel tuo cuore è questa: I tuoi peccati ti sono perdonati."

Da quel momento la luce divina irradiò l'animo del giovane monaco di Erfurt. La parola della grazia è stata pronunciata, ed egli vi ha prestato fede; egli rinuncia al pensiero di meritarsi con le sue proprie opere la salvezza eterna, e con tutta la fiducia si abbandona alla grazia di Dio per i meriti di Gesù Cristo. Ignora le conseguenze di questa dottrina ricevuta, perché allora era un sincero cattolico. Non ha più bisogno della Chiesa romana, perché egli ha ricevuto la salvezza immediatamente da Dio stesso; e tanto basta a distruggere virtualmente il cattolicesimo romano.

Lutero in seguito in una lettera indirizzata ad un altro monaco  (frate Giorgio) scrive:

Vorrei ben sapere che ne sarà dell'anima tua.  

Non è affaticata e stanca della sua propria giustizia? Non respira essa finalmente, nè si confida ora interamente nella giustizia di Gesù Cristo?


Ai giorni nostri l'orgoglio seduce molti, e principalmente coloro che si applicano con tutte le loro forze ad essere giusti. Essi non intendono la giustizia di Dio che gratuitamente ci è data da Gesù Cristo, essi vogliono tenersi diritti dinanzi a Lui con i loro propri meriti; ma ciò non è possibile. . .


Impara a conoscere Cristo, e Cristo crocifisso; impara a cantargli un cantico nuovo, a disperare di te stesso, e a dire a Lui: "Tu, Signor mio Gesù Cristo, tu sei la mia giustizia, ed io sono il tuo peccato. Tu hai preso ciò ch' era mio, e mi hai donato ciò che era tuo. Ciò che tu non eri, tu lo sei diventato, affinché io diventassi quello che io non ero". 


Guardati bene di non pretendere ad una tale purità da non volerti più riconoscere per peccatore; perché Cristo abita unicamente nei peccatori. Egli discese dal cielo, dove abitava tra i giusti, al fine di abitare quaggiù nei peccatori. Medita consideratamente questo amore di Cristo, e ne assaporerai l'ineffabile consolazione.


Se le nostre fatiche le nostre afflizioni potessero dare la tranquillità la nostra coscienza. Per quale ragione Cristo sarebbe morto?



Tu non troverai la pace che è in Cristo Gesù se non con il disperare di te stesso e delle tue opere e con l'imparare con quale amore Egli ti apre le braccia, col prendere sopra di sè tutti i tuoi peccati, e col darti la sua intera giustizia.

Tratto da ; Storia della Riforma di D'Aubigné

Vedi anche :

Commenti

  1. Grazie a quest articolo e queste frase di Luthero!
    Impara a conoscere Cristo, e Cristo crocifisso; impara a cantargli un cantico nuovo, a disperare di te stesso, e a dire a Lui: "Tu, Signor mio Gesù Cristo, tu sei la mia giustizia, ed io sono il tuo peccato. Tu hai preso ciò ch' era mio, e mi hai donato ciò che era tuo. Ciò che tu non eri, tu lo sei diventato, affinché io diventassi quello che io non ero".

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