SE LA MIGLIOR RELIGIONE SIA QUELLA DI ESSERE ONESTI E DI NON FARE DEL MALE A NESSUNO
Lasciatemi in pace, non mi tormentate, sono un gentiluomo, la migliore
delle religioni è quella di non fare del male a nessuno. Era questa la risposta
che mi dava il signor Francesco, tutte le volte che avevo tentato di intavolare
con lui dei discorsi religiosi: ed anche ieri, quando gli diedi il libretto:
Verità della religione Cristiana, mi rispose, un poco sdegnato: Lasciami stare,
sono onesto, la miglior religione è di non fare del male a nessuno.
Accetto per vero quello che dice, gli risposi; ma abbia la pazienza di
ascoltarmi per pochi minuti: sarà, se vuole, l’ultima volta, ma la prego, stia
attento per un breve quarto d’ora. Se la miglior religione è quella di essere
onesti, e di non fare del male a nessuno, di certo la più cattiva sarà quella
di comportarsi da disonesti, e fare del male al prossimo: se solo colui che si
conduce nel primo modo merita una ricompensa, converrà che colui che cammina
nel secondo, meriti una punizione. Ebbene, partiamo da questo, e vediamo,
signor Francesco, quello che lei stesso può sperare.
Lei dice: La miglior religione è quella di essere onesti, e non fare
male ad alcuno. Osservi, prima di tutto, che questa religione è la più facile,
perché non ci impone nessun obbligo verso Dio: la parola essere onesto, almeno
dietro il significato che tutti ordinariamente gli danno, non comprende nessuna
idea di amore per il Creatore, e nessun atto di adorazione, di culto, di
preghiera: così questa religione ci libera dal dovere, il più penoso alla
nostra naturale inclinazione, amare e adorare il Signore.
Rifletta ancora che in queste parole, essere onesto, e non far male ad
alcuno, non contengono i doveri che abbiamo verso noi stessi: doveri di purità,
castità, temperanza, lavoro, pazienza: così noi potremo liberamente seguire le
nostre tendenze e passioni, e pertanto non essere ancora della migliore
religione, che consiste nell’essere onesti, e non fare del male a nessuno.
Signor mio, non voglio condannare la sua religione, ma solamente mostrarle che,
siccome non impone nessun obbligo né verso Dio, né verso noi stessi, essa è
certamente di tutte le religioni la più facile da seguire. Ma questo non è
tutto: tale religione di onestà e di lealtà, ci domanda, questo è vero, di
essere giusti verso i nostri simili; ma non ci prescrive la carità, l'amore
verso di loro: potremmo dunque, rinchiudendoci nei nostri diritti, lasciar
soffrire i disgraziati, rifiutare un'offerta al povero, le cure al malato, un
favore all’amico, senza per questo, fare del male a qualcuno.
Di più: una religione che ristringe i nostri doveri verso il nostro
prossimo ad una stretta giustizia, è certamente di tutte le religioni
esistenti, o immaginabili, la più comoda e la più dolce per noi. Quindi, credo,
mio caro signore, dovrà essere d'accordo che se questa religione basta, bisogna
almeno eseguirla esattamente, e che se non richiede che la lealtà, bisogna che
sia integra, completa, inattaccabile. Ora applichiamo questa regola alla nostra
vita, alla sua, alla mia, e vediamo se ci siamo mai volti a destra o a
sinistra.
Non far male a nessuno, non è solamente togliere la vita al suo
simile, né rubargli i denari, né attaccare il suo onore, non calunniarlo, né
considerarlo come autore di falsità. — No, tutto questo non basta. Per non fare
veramente male a nessuno, bisogna proibire tutto quello che potrebbe alterare
la sua salute, per qualunque mezzo ci sia; tutto ciò che gli toglierebbe una
sola beneficenza, sotto qualunque pretesto; tutto ciò che potrebbe mettere in
dubbio la sua reputazione, anche la più leggera macchia: per essere onesto, e
non far male a nessuno, ecco che cosa bisogna fare: noi lo abbiamo fatto?
Nelle conversazioni su che cosa cade per ordinario il discorso? Sugli assenti. Che cosa diciamo di loro? Male
o bene? Che cosa ricordiamo a coloro che ci ascoltano, le loro virtù, o i loro
vizi? E dal momento che una tale conversazione è intavolata, difficilmente
cessa, ciascuno ha la sua parola da aggiungere, e il suo colpo da scagliare? E
queste maldicenze, ripetute di bocca in bocca, alterate, accresciute, non fanno
danno a nessuno, non hanno mai fatto perdere la protezione di un ricco, tolto
il lavoro all’operaio, messo il malumore fra gli amici, i parenti, eccitate le
discordie, l’odio, le vendette? E chi le ha proferite queste maldicenze? Io non
dirò nulla, ma la sua coscienza risponda.
La menzogna è rara nelle società? Si dice volentieri a qualcuno che si
può supporre interessato a nascondere la verità? Non si fa mai ripetere ad
altri quello che qualcuno ha assicurato? Non si vuol mai per iscritto in
garanzia della sincerità di una promessa, e questa garanzia è essa sempre
sufficiente? Non ne sono mai avvenute
delle contestazioni? Non si son mai
fatte accuse di mala fede? In generale si fa scrupolo di mentire per favorire i
propri interessi, per vendere e comprare, per evitare un rimprovero, per
respingere un’accusa, per nascondere una mancanza? Ci facciamo scrupolo di
alterare la verità per migliorare la nostra propria causa, per voler aver
ragione, per dilettare i nostri gusti, la vanità, l’orgoglio? E una menzogna
non costa molto ad un uomo? E tutte le parole false non fanno esse torto a
nessuno? E chi le ha proferite? Non dirò
nulla, lascerò la risposta alla sua coscienza.
In una questione d’interesse fra due, nel dubbio, nell’equivoco, e non
pretendono tutti e due di essere stati danneggiati? E non danno uno il torto
all’altro? E non pertanto tutti e due non possono avere ragione. Sono rare le
questioni nel commercio, in cui si dice essere stati ingannati? È difficile
trovare uomini disposti ad alterare le mercanzie, dare un peso per un altro, ed
esigere il prezzo al disopra del valore reale? Vi sono molti negozianti, i
quali sebbene il loro nome non sia mai risuonato nei tribunali, possano almeno
negare di avere avuto più di una volta questioni? E vi è uno solo che ardisca
dire avere avuto sempre ragione?
Quale capo fabbrica, e quale operaio, quale padrone, e quale servo può
dire, posta la mano sulla coscienza, che è stato sempre strettamente giusto nel
suo salario, nel suo lavoro, e che non si sia mai fatto un lamento contro di
lui? In tutti quei contrasti, da cui nessuno può essere esente, non ha mai
fatto danno a nessuno? E questo danno chi lo ha fatto? Io non lo dirò, lo
lascio dire alla sua coscienza.
Chi è colui che possa dire di non avere un nemico sulla terra? O
almeno chi è colui che non abbia, contro uno dei suoi simili, qualche
animosità, gelosia, odio? Chi può dire di non essersi mai sdegnato contro il
fratello, e non aver mai proferite ingiurie contro di lui, imprecazioni,
maledizioni? Chi può dire di non aver mai desiderato una sventura, una
punizione per colui dal quale aveva ricevuta una offesa? E in queste
inimicizie, sdegni, ingiurie, odio, chi può dire di aver sempre avuto ragione,
e non aver provocato il suo avversario? Non dirò neppure qui nulla, mio
signore, la prego di riflettere, ed interroghi la sua coscienza. Lei ha due
figli: mi dica, sono stati sempre come dovrebbero essere? Da piccoli hanno
sempre obbedito? Più grandi sono stati rispettosi? Divenuti uomini, sono stati
riconoscenti? La loro ostinatezza, le loro parole di disprezzo, la loro
trascuranza, la loro ingratitudine, non hanno mai straziato il suo cuore, e strappato
delle lacrime? Ora quello che hanno fatto a lei i suoi figli, non lo ha lei
fatto a suo padre e a sua madre? Non ha mai sentito dire dal padre suo queste
parole tanto vere: Quello che tu fai a tuo padre tuo figlio te lo farà? E
quando si è avverata la predizione, quando i suoi figliuoli sono stati
disobbedienti, o ingrati, non è stato con loro troppo severo, sdegnato,
instabile, abusando dell'autorità, punendoli nello sdegno, cercando e volendo
quasi vendicarsi, piuttosto che correggerli? Come figlio dirimpetto al padre,
come padre di fronte al figlio, non ha mai avuto torto? Io non lo dirò, lo lascio alla sua coscienza.
Io non parlerò degl’impuri pensieri nutriti nell’interno del cuore,
delle vergognose azioni nascoste nelle tenebre, della vita più libertina della
giovinezza. No, potrebbe rispondermi: Ciò non fa danno ad alcuno: ma le sue
passioni non hanno avuto mai compagni? I suoi piaceri non hanno mai trascinato
con sé delle vittime? Le sue azioni non hanno mai avuto imitatori? Finalmente
può assicurare di non aver mai, con gli incitamenti, o gli esempi, fatto
progredire altri nel vizio? Mancanze di questo genere non fanno danno ad
alcuno, e non le ha mai commesse? Io non lo dirò, lo lascio alla sua coscienza.
Non pertanto, siccome dice che la miglior religione è di essere
onesti, e non fare del danno a nessuno, le domando sul serio, abbia presente a
sé tutta la sua vita passata: non è mai caduto nei falli da me enumerati, da
poter dire sinceramente che non ha mai fatto danno alcuno a chicchessia? Nella
sua famiglia, nel vicinato, mi dica, chi sono coloro che possono attestarlo?
Crede lei, che sono molti coloro che possono dire non aver mai proferita una
maldicenza, una menzogna, guastato un affare? Ci sono venti in una città che
possano affermare di aver sempre onorato il loro padre, la loro madre, e non
esser mai stati troppo severi, ed ingiusti verso i loro figli?
Ce ne sono dieci che possano vantarsi di aver condotta la loro vita
senza cadere in impurezze, in mancanze pericolose per gli altri, e di cattivo
esempio? Ce ne sono cinque? Ce ne sono due, che lei possa nominare? Ce ne è uno
solo che non abbia da rimproverarsi né di maldicenza, né di menzogna,
d’ingiustizia, di disobbedienza, di durezza di cuore, d’ impurità, né di
cattivo esempio? Ce ne è un solo? me lo presenti, mi dica: Eccolo; quello là è
senza peccato, può presentarsi senza timore dinanzi a Dio; può dire, sono
onesto, e non ho fatto male ad alcuno.
Ma dov'è quest’uno? Non lo conosco.
Quello che so con certezza, signor mio, è che questo non sono io, no,
non sono io: quello che so è che quando ripenso alla mia vita, ci trovo mille
mancanze, mille peccati, mille torti fatti ai miei fratelli, e che se dovessi
essere giudicato davanti a Dio sulla mia onestà, sulla mia integrità, tremerei
di vedermi condannato.
Lei dunque, che come me sente nella sua coscienza una voce che grida:
Tu non sei quell’uomo; lei che, per certo, non ha più la pretesa di non aver
danneggiato alcuno, accetti il solo mezzo di salvezza che resta, il perdono dei
peccati, per la fede in Gesù Cristo; lasci agli uomini presuntuosi la loro
propria giustizia; lei ed io abbiamo bisogno di un’altra via per giungere alla
salvezza: venga, andiamo insieme al libro della Buona Nuova: c’insegna che per
noi, i quali riconosciamo i nostri peccati, otteniamo il perdono da Dio; che
per noi, i quali piangiamo sulla trascorsa vita, i nostri peccati ci sono
perdonati, dimenticati, cancellati: venga, saliamo al Calvario, dove il Figlio
di Dio stesso è morto sulla croce per ottenere in lui la nostra
riconciliazione.
Credo di poter indovinare quello che accade nella sua mente.
Confessandosi e riconoscendosi più o meno carico delle colpe che ho elencate,
nonostante ricusa riconoscere il Cristianesimo. Sì, essa pensa: Ho fatto bene
spesso del danno ai miei simili con la maldicenza, con la menzogna, con il mio
sdegno, le mie ingiustizie: credo anche che Dio non mi domanderà conto di
queste leggere mancanze, e che serberà le sue punizioni per i veri delinquenti,
ma che a me perdonerà. Lo perdonerà, lei dice? Quando la sua coscienza le ha
detto che questa o quella mancanza non è punibile? Sì, senza dubbio, ha potuto
dirle che un omicidio era un delitto più grave di un furto, che una calunnia
era più condannabile che una maldicenza. In una parola, ha potuto dirle che vi
erano dei gradi di colpa: ma quando la sua coscienza le ha detto che una
leggera mancanza fosse indifferente, e potesse essere perdonata? Mai! E se
volesse interrogarla sul serio, la sentirebbe gridare: Ad ogni mancanza la
proporzionata punizione, ma sempre la punizione. Il male è sempre male; e se
interroga il suo cuore con sincerità, le dirà che è lui, le sue passioni che
suggeriscono queste speranze di perdono; che è perché la passione gli piace, e
vuole cadervi, cerca di sedurlo, e di mettersi in mezzo fra lei e la sua
coscienza. Ma si deve ascoltare una promessa d’indulgenza e di perdono fatta
dalla passione stessa? No, poiché lei vuole la religione naturale, è la sua
coscienza che deve esserne il giudice, e lei non ha mai letta la parola di
perdono.
La parola perdono non è scritta che nella Parola di Dio: nel Vangelo,
il perdono non è offerto che a condizione di avere fede cristiana; e siccome
lei rigetta questa fede, questo perdono, non è per lei, non è che per coloro
che lo reclamano a nome di Cristo. Sia Cristiano, e sarà perdonato: o poiché
vuole per regola della condotta, la sua sola coscienza, accetti pure la sua
coscienza per giudice: so, sì, lo so, che la sua coscienza la condanna: essa le
dice che quell’uomo mormoratore è lei, mentitore è lei, ingiusto è lei,
disobbediente al padre e alla madre è lei: che è lei che è stato troppo severo,
ingiusto, collerico verso i figli, che è lei che ha dati i più cattivi esempi,
sì, sì, lo so, la sua coscienza la condanna, e un giorno renderà conto a Colui
che le ha data la coscienza.
Or dunque, scelga, o di presentarsi a Dio, vestito della sua propria
giustizia, e la sua coscienza per giudice; oppure, confessando le sue iniquità,
e avendo Gesù per Avvocato, domandando al di lui Padre il perdono dei suoi
peccati, si prepari, se vuole, per venire davanti al tribunale del suo Dio,
nell’ultimo giorno per dirgli: Eccomi, Signore, tu sai che ho fatto il bene
sulla terra, che ho sempre seguito le leggi della mia coscienza, sono stato
onesto, e mai, mai, ho danneggiato alcuno; dammi dunque il tuo cielo per mia
ricompensa. Io, signor mio, non ho questa presuntuosa sicurezza, e lungi dal
credere che ho fatto il bene, confesso al contrario che ho fatto spesso il
male, e che se io fossi giudicato secondo i miei meriti, sarei infallibilmente
condannato, preferisco dunque presentarmi davanti al Padre mio celeste, e
dirgli: Eccomi, Signore, lo confesso, sono ricoperto di peccati: ho violate le
leggi della mia coscienza, trasgredite quelle della tua Parola, non merito che
il tuo sdegno: ora eccomi, Signore, il tuo Figlio è morto per me, ha portati i
miei peccati, mi ha detto che se mi confidassi in lui sarei perdonato. Mi
confido in lui, Signore, perdonami, salvami: non per i miei meriti, ma per i
meriti di Cristo; non per la mia giustizia, ma per la giustizia del tuo diletto
Figlio.
Caro lettore, è per amore verso di te che ho scritte queste poche
pagine: se ti condurranno a riflettere che c'è una religione migliore di quella
degli uomini, che pretendono essere stati sempre onesti, e non aver mai
arrecato danno ad alcuno; e se ti conducono a cercare nella lettura del Vangelo
la fede in Cristo Gesù, che sola può salvare, il mio tempo non lo avrò
inutilmente perduto. Quanto al signor Francesco, se desideri sapere la fine
della sua vita, ti dirò che dopo il colloquio, senza essere pienamente convinto
del suo torto, tuttavia ci riflesse, e dopo alcuni giorni sentì come uno
stimolo nel suo cuore, che non gli dava riposo né giorno, né notte. Si sforzò
per molto tempo di strapparselo, e ritrovare la prima tranquillità, ma tentò
invano, e alla fine, curioso di conoscere meglio la religione cristiana, di cui
tante volte gli si era parlato, si pose a leggere il Nuovo Testamento con seria
attenzione.
Quella lettura gl’insegnò che, per effettuarla con frutto, doveva
essere preceduta dalla preghiera a Dio, per ottenerne l'intelligenza, e siccome
aveva letto in essa: « Nessuno conosce quello che è nell'uomo, se non è per
lo spirito dell'uomo, ugualmente, nessuno conosce ciò che è in Dio, se non è
per lo Spirito di Dio; » ne concluse che doveva domandare a Dio il suo
Santo Spirito, per fargli comprendere la sua Parola. Lo fece, e vide questo
libro farsi chiaro sotto ai suoi occhi. Gli pareva che ogni parola assumesse un
nuovo significato, che fino ad allora gli era rimasto nascosto: e, giunto a
comprendere che non c'è un solo giusto, che tutti gli uomini fanno il male, che
la salvezza è per tutti gratuita, e data all'uomo per la fede in Gesù Cristo;
accettò nel suo cuore queste verità tali e quali le trovò nella Bibbia, e
ricevette così la pace dell’anima che nessuno può turbare in terra, e che sarà
la nostra letizia per il cielo.
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