Il Sommo Pontefice e la Chiesa di Roma

Prof Louis Gaussen ( 1790 – 1863)

Ora, nella testimonianza di questa Parola, richiamo la vostra attenzione sopra un punto importante, che costantemente dovete avere sott’ occhio, quando avete da fare con Roma: intendo parlare di un domma prezioso e sacro ai nostri padri, ma troppo trascurato e spesso sconosciuto persino nelle nostre Chiese; sebbene, per apprezzarne il valore, molte nuove ragioni Iddio ci abbia date, che i nostri padri non conoscevano. Questo domma si è, che Roma è la Babilonia di cui ha parlato S. Giovanni; il papa, l‘uomo di peccato, il figlio di perdizione, di cui ha parlato S. Paolo; il Papato, il piccolo Corno di cui ha parlato Daniele. Facile mi tornerebbe il mostrarvi che siffatta dottrina, senza interruzione professata nella Chiesa di Dio da quasi mille e duecento anni, non vi fu sconosciuta, al pari di quella di un angelo tentatore, se non nei tempi di rilassamento e d’incredulità.

Quando il pio Valdo sparse le Scritture in Francia, ora sono sette secoli, si udiva subito il grido: Usciamo da Babilonia! Quando il grande Wycliffe predicò la riforma in Inghilterra, ora sono cinque secoli, da tutte parti si fissò ben presto lo sguardo sul pontefice di Roma, e si sentì esclamare: Ecco l’uomo del peccato! Quando il generoso Huss, quando Girolamo di Praga fecero udire la loro voce, cento anni prima di Lutero, essi furono contro i vizi della  « grande meretrice » predetta da S. Giovanni.

Quando i nostri padri si riformarono a Ginevra, la loro prima cura fu sì quella di collocare, sul muro esterno del nostro palazzo municipale, una piastra in rame (di cui, ohimè! rimane oggidì soltanto la cornice), e sulla quale ringraziavano Iddio « di averli liberati della tirannia dell’Anticristo ». Quando i padri della maggior parte fra noi, signori, ebbero fatto alla Rocella la loro ammirabile confessione di fede, si presero cura di decretare, nel decimosettimo loro sinodo nazionale (tenutosi a Gap, sotto il regno di Enrico IV, nel 1603), che in seguito al trentesimo articolo verrebbe inserita la seguente dichiarazione sotto il titolo trentunesimo. La trascrivo qui testualmente:

« E poichè il vescovo di Roma, con l’essersi creato una monarchia nella cristianità, e con l'attribuirsi una dominazione su tutte le Chiese ed i pastori, si è innalzato al punto di nominarsi Dio, di voler essere adorato, di vantarsi di avere ogni potenza nel cielo e sulla terra, di disporre di tutte le cose ecclesiastiche, di decidere sugli articoli di fede, d’interpretare le Scritture a suo talento, di fare un traffico delle anime, di dispensare dai voti e dai giuramenti, di ordinare nuovi servizi di Dio; ed in quanto al temporale, di calpestare l’autorità legittima dei magistrati, togliendo, donando e cambiando i regni; crediamo e sosteniamo che egli è propriamente l’Anticristo, ed il figliuolo di perdizione, predetto nella Parola di Dio sotto l’emblema della meretrice vestita di porpora, seduta sui sette colli della gran città che aveva il suo regno sui re della terra; e crediamo che il Signore, sconfiggendolo con lo Spirito della sua bocca, lo distruggerà finalmente con lo splendore del suo avvenimento, come lo ha promesso, e come tale promessa ha di già incominciato a verificarsi ».

Per cinquanta e più anni i ministri ed i Protestanti di Francia furono perseguitati dai re e dai governatori di provincia, a causa di quell’articolo trentunesimo. Tuttavia conforta il sentire la voce di fedeltà che essi fecero ancora udire nel loro ventinovesimo ed ultimo sinodo nazionale, tenutosi sotto Luigi XIV, a Loudun, nel 1659, dopo che per quindici anni fu loro rifiutato il permesso di averne alcuno. « Il regio commissario avendo chiesto che più non si adoperassero le espressioni di Anticristo, parlando del papa, ed idolatra, parlando dei Romanisti, » nei giuramenti che verrebbero prestati in quel sinodo, al Moderatore fu ingiunto di rispondere in questi termini: « In quanto alla parola di Anticristo che sta nella nostra liturgia, ed a quelle d'idolatria e d’inganni di Satana, che si trovano nella nostra confessione di fede, esse indicano le ragioni ed il fondamento della nostra separazione dalla Chiesa romana, non che la dottrina che i nostri padri hanno sostenuta nei tempi più crudeli, e che, seguendo il loro esempio, abbiamo determinato, con l’assistenza di Dio, di giammai abbandonare, ma di fedelmente ed inviolabilmente conservare sino all'ultimo momento della nostra vita. » 

Tre profeti ci insegnano questa importante dottrina: Daniele, nei suoi capitoli II, VII e XI; S. Paolo, nella sua seconda epistola ai Tessalonicesi e nella sua prima a Timoteo; e finalmente S. Giovanni, tanto nella prima sua epistola, quanto nei capitoli IX, XII, XII, XIII, XVII e XVIII dell’Apocalisse (l).

Tratto da : Il Sommo Pontefice e la Chiesa di Roma - Prof L. Gaussen

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