Dispute Religiose di Pomponio Algieri

Pomponio Algieri, di cui stiamo per narrare, era nato a Nola, piccola ed industriosa città nel reame di Napoli. Non esiste alcun documento che faccia menzione della sua famiglia; ignoriamo se egli fosse di umile o nobile stirpe; ma ciò non fa differenza; a nulla agevola un'origine illustre; e d'altronde il suo ingegno e le sue virtù bastano a nobilitare qualunque nome e nascita.

Algieri studiava legge a Padova, quando lo spirito della riforma agitando da un capo all'altro la penisola, penetrava in quella celebre Università; ed egli che d'ingegno e diligenza vinceva pressoché tutti i suoi compagni, in breve tempo si distinse fra loro per la fede evangelica di cui divenne zelante difensore.

Ciò risulta dagli scritti e dalle corrispondenze segrete che gli furono sequestrate dalle autorità ecclesiastiche; le quali, meditando feroci persecuzioni contro i principali sostenitori delle nuove dottrine, per lungo tempo tennero d’occhio il giovane Pomponio, designandolo come una delle primarie vittime che bisognava immolare sull'altare del loro fanatismo, non appena che ne avessero avuta l'occasione. E il giorno sospirato giunse per essi; talché l'infelice Pomponio cadde nei loro artigli, e fu senza indugio sottoposto a processo. I quattro esami da lui subiti possono più propriamente chiamarsi dispute religiose, avendo Pomponio costretto i magistrati a scendere con lui nel campo della discussione. Mai le dottrine della Chiesa romana erano state confutate con più solide ragioni o maggiore evidenza. Nell'impugnare gli argomenti allegati a pro del papato, egli si mostrava dotto conoscitore non solo del Vangelo ma dello stesso diritto canonico, mostrando profonda capacità di giudizio e allo stesso tempo d'alto ingegno, di fede vivissima e di un'indole dolce e modesta unita a mirabile fermezza di carattere e tenacità di convinzioni. 

Egli stesso, dal fondo della prigione in cui giaceva, inviava un sunto ai suoi confedeli, accompagnandole di poche ma generose parole: «Stretto a voi di eterno legame, diceva egli, e non trascurando cosa alcuna che possa piacervi, soddisfo al vostro desiderio, trascrivendo per sommi capi la fede che ho confessato davanti ai miei giudici. L'insufficienza di tempo, di comodità e di salute mi impediscono di raccogliere qui estesamente e con ordine tutte le risposte da me indirizzate agli avversari, e sostenerle di tutti i passi biblici da me allegati nel giudizio. Vi prego di scusarmene. Tutto ciò che ho detto e riposto in difesa delle mie dottrine è stato da me corroborato con citazioni di leggi e canoni della stessa curia romana a maggior confusione di quest'ultima, e ad esempio degli Apostoli, i quali per convincere i Giudei della venuta del Messia, da questi ultimo condannato e crocifisso, si servivano della stessa legge ebraica. I miei avversari da un momento all'altro si contraddicevano, e Dio mi ha concessa la grazia di chiudere loro parecchie volte la bocca e confonderli: attestando ogni ora davanti ad essi di non ritrattarmi se non quando, con la Sacra Scrittura alla mano, mi avranno convinto di bestemmia e di errore. Cosa che non avverrà; poiché io dico e sostengo che la fede da me professata sia eminentemente cristiana, fondata sulla vera Chiesa di Gesù Cristo, e pura della benché minima eresia. Essi vogliono lottare col Redentore, ma spero di mostrar loro quanto sia potente lo Spirito di Dio.

Intanto, o fratelli, vi prego di domandare per me all'Eterno Padre, forza, speranza e carità affinché io possa continuare a dargli gloria. Amen»

Crediamo far cosa utile e grata al lettore pubblicando il sunto dei quattro esami subiti da Pomponio Algieri, affinché sia palese quanto viva e ragionata fosse la sua fede.

PRIMO ESAME

Domanda. Credete nella Chiesa cattolica?

Risposta. Si, e ne professo la dottrina.

D. Credete che la santa Chiesa romana sia cattolica, e volete sottomettervi ad essa?

R. La Chiesa romana non è cattolica, ma particolare. Io non sono soggetto ad alcuna Chiesa particolare; poiché mi reputo membro della Chiesa universale, la quale nel suo insieme forma un corpo mistico, che è di Gesù Cristo. La Chiesa particolare può traviare, come spesse volte succede, e le lettere di s. Paolo, i libri dei primi Dottori, e le leggi della curia romana ne rendono testimonianza.

D. Perché non volete obbedire alla Chiesa romana? svelatecene gli errori, lasciando da parte gli abusi.

R. Lasciando a parte gli abusi, non sarebbe più il caso di rispondere alla vostra domanda; poiché tolti questi abusi, la Chiesa romana cesserebbe di esistere. Ciononostante, poiché lo volete, parlerò degli errori e non degli abusi (sebbene fra di essi esista poca differenza). Ed in primo luogo io sostengo che la Chiesa da voi detta romana abbia errato insegnando che la nostra salvezza sia fondata non solo sui meriti di Gesù Cristo, ma pure sulle nostre opere. Quanto questa dottrina sia falsa si può vedere nelle epistole di s. Paolo ai Romani, cap. III, ai Galati, III, a Timoteo, I, e negli alti degli Apostoli, XVI.

D. Voi dunque negate le buone opere?

R. Col dire che la nostra salvezza venga dalla pura misericordia di Gesù Cristo, io non ho negate le buone opere. Credo che le buone opere siano necessarie al cristiano, e che senza di esse nessuno possa dirsi tale; nel modo che un albero non può dirsi buono se non produca buoni frutti; credo che le buone opere siano i frutti della fede; ma la dottrina della Chiesa romana la quale sostiene che il bene viene da noi medesimi, ed il conseguimento della beatitudine dipende dalla nostra volontà, è falsa e contraria alla legge di Dio, la quale ci insegna che nulla di lodevole può fare l'uomo se la grazia di Dio non opera in esso. È Dio che ci inspira il buon volere ed il ben agire, come dice s. Paolo nelle epistole ai Filippesi, cap. II, ed 1 a Corinti III. La nostra carne, soggetta alla morte, al cospetto dell'Eterno Padre non produce che abbominazione. E ciò risulta anche dall'ultimo capitolo della quarta distinzione de consacrazione, dove è scomunicato chiunque crede che l'uomo sia capace di alcun bene, senza la grazia. Inoltre, la Chiesa romana sostiene un abominevole errore, insegnando che gli uomini siano eletti da Dio a causa dei loro meriti e le buone opere e non per misericordia e dono del Signore; e ciò è in contraddizione col capitolo semel immo lalus, nella seconda distinzione de consecrat. E la ragione è chiara; per il fatto che se la salvezza ci viene data gratuitamente ne segue per necessità che noi siamo eletti per grazia, e non per buone opere.

A questo punto gl'inquisitori all'unisono esclamarono: Tu sei eretico puzzolente! non dobbiamo parlare più con te. Notaio scrivete quello che ha detto.

R. Perché mi chiamate eretico? appartengo io forse alla setta Giacobina, Cordeliera, Basiliana, Crociata, Eremitana, Sabatina, Benedettina, Cartusiana, o Carmelitana? Se voi credete che io erri, correggetemi, e mostratemi il mio errore.

D. Cosa pensate del Sacramento?

B. Io vi risponderò anche intorno al Sacramento; ma prima compiacetevi di dirmi quale eresia trovate in me? lo attesto di non appartenere ad altra setta (se così la chiamate) che quella di Gesù Cristo.

D. Non occorre dir altro: tu sei un diavolo, un lebbroso. Tu devi credere tutto quello che è insegnato dalla nostra Madre Chiesa, e lo devi ritenere come articolo di fede; tanto più che: ce l'impongono i papi, vicari di Cristo, e lo confermano tanti dottori e Santi Padri. Tu dovresti arrossire nel sollevare il capo per opporti contro i successori di san Pietro, capi della Chiesa.

R. O piuttosto tiranni ed Anticristi. Io non voglio riconoscere altro capo che Gesù Cristo, principe della Chiesa universale. Udite infatti cosa sta scritto nell'epistola agli Efesini, cap. IV, e in quella ai Colossesi.... 

A questo punto gl’Inquisitori esclamarono con ira: Noi non siamo così sciocchi da ignorare che Cristo è il capo in Cielo e in terra; ma il papa non è forse quaggiù il suo vicario?

R. Cristo e la Chiesa universale, detta Cattolica, non sono che un corpo solo, come risulta dall'epistola agli Efesini cap. IV. Egli non è mai diviso da questa Chiesa, la quale è solamente appoggiata sopra di lui, né può avere altro capo e fondamento oltre a lui. Né crediate che egli faccia come i vostri vescovi, i quali abbandonando le loro pecorelle in custodia d'altri che chiamano vicari, se ne vanno a prendere i loro passatempi a Roma, dandosi con gran facilità in preda alle libidini, al lusso, alla crapula ed a tutti i piaceri di questo mondo. Ah, no! Gesù Cristo non lascia mai il suo gregge, ma instancabilmente lo rende oggetto delle sue cure e sollecitudini, e della sua inesauribile carità. Ora, siccome un solo corpo non può avere che un capo solo, altrimenti diviene mostruoso, in pari modo questo corpo composto della Chiesa e da Gesù Cristo non ha altro capo tranne quest'ultimo che è il vero figlio di Dio. Se noi ce ne fabbrichiamo un altro in questa terra, allora ne risulterà un corpo a due teste.

D. Voi dunque negate che Cristo abbia ordinalo in terra pastori sul suo gregge? Ma s. Paolo non dice che Egli ha costituiti alcuni evangelisti, altri apostoli, dottori, pastori e simili?

R. Io confesso e credo che i pastori furono ordinati dal Signore. Ma voi non mi avete provato (né ciò si trova in alcun luogo) che Cristo e gli Apostoli abbiano stabilito che un pastore sta al disopra degli altri suoi compagni; dovendo tale dignità attribuirsi al solo figlio di Dio; come sta scritto nel Vangelo di s. Giovanni: « lo sono il buon Pastore che conosco il mio gregge e son conosciuto da esso» ed in san Matteo; « io colpirò il Pastore, e le pecore saranno disperse »; la quale cosa fu detta degli Apostoli di cui egli era Pastore e capo, come è adesso di tutta la Chiesa Cattolica. E nessun altro deve temerariamente occupare il suo posto usurpando per tirannia, violenza, guerra, rapine, frodi, inganno e ipocrisia i poteri di Gesù Cristo, da lui acquistati per così caro prezzo offrendosi in olocausto per le nostre colpe, così da placare l'ira del celeste Padre. È vero che in ogni parte della sua Chiesa, Dio ordina ministri e vescovi, ma senza dare ad alcuno di essi il primato. Anche in conformità alle vostre leggi, essi han tutti uguale potenza, come risulta dal cap. an lipenultimo versetto si autem, distinzione 93. 

Lo stesso Gesù Cristo si dichiara principe, maestro, signore e capo di tutti; e poi se alcuno ha l'ardire di farsi chiamare in terra signore, maestro, capo o principe universale non è, secondo i vostri canoni, scomunicato, appunto perché agirebbe contro Dio? Ecco le parole del decreto nella quarantesima distinzione, cap. ultimo; «Chiunque aspira al primato in terra, in cielo, sarà confuso, e chiunque tenta di divenir principe, non deve appartenere al numero dei servitori di Dio». Lo stesso è detto nel capitolo anti-penultimo e penultimo della distinzione 99.

D. Dove sono dunque i pastori di cui san Paolo fa menzione (come sopra abbiamo detto), e come si possono trovare e conoscere in questa Chiesa cattolica che tu fabbrichi nell'aria? Se questa è astratta ed immaginaria come possono esservi pastori?

R. La Chiesa che io confesso non la cerco con l'immaginazione e nelle nuvole, come voi dite; ma è qui in terra, fra coloro che sono servitori di Cristo ed abitano in questo mondo sparsi qua e là; ed il vostro capitolo Catholica, dist. 11, lo conferma. Giacché tutti i cristiani sono nella Chiesa cattolica ed universale che essi stessi costituiscono. Altro è il considerare la Chiesa in concreto, come si dice, altro il considerarla come un corpo mistico composto dell'unione dei cristiani e di Cristo; ed è per ciò che essa è detta Corpo di Cristo al cap. In Ecclesia, quest. I. La Chiesa cattolica comprende nella sua fede diversi membri, cioè tutti i cristiani, e perciò ogni Chiesa particolare. In risposta poi a quanto mi dite, io sostengo esser ragionevole che ci siano pastori fra i cristiani ed in tutte le parti apparenti alla Chiesa cattolica; ed ecco ciò che si chiama Chiesa in concreto. Or considerando la Chiesa mistica, io credo che essa sia spirituale, e concepibile solamente dallo spirito. Ed in questa Chiesa mistica non vi è altro pastore che Gesù Cristo; gli stessi vescovi non ne sono che membri al pari degli altri, e pecorelle di codesto pastore universale.

D. Se dunque confessate con tanta loquacità che la Chiesa cattolica è in terra, e che nessuno ne è capo universale oltre Cristo, dove sono i pastori di cui parlavamo poco fa?

R. I pastori di cui parla s. Paolo devono essere in ciascuna parte apparente di detta Chiesa cattolica. Mostratemi una Chiesa particolare e apparente, ed io vi mostrerò il pastore che deve esservi necessariamente.

D. Se vi chiamate membro della Chiesa universale, e sostenete che deve esservi un pastore in ciascuna parte apparente, dite, dov'è il vostro pastore?

R. In terra ci sono due specie di pastori; Una è tutta secolare che veglia per difesa dei buoni e punizione dei malvagi; l'altra ha la missione d'insegnare e d'istruire i cristiani nel timore di Dio e nella fede cristiana con le parole ed il buon esempio, e per amministrar loro i sacramenti. Ciò ammesso, io riconosco per mio pastore nelle cose secolari il magnifico Governator di Padova ed i signori di Venezia che sono i miei principi; ma in quanto alla parola di Dio ed ai sacramenti non riconosco per mio pastore nessuno fra tutti quelli che ritengono per Chiesa apparente la sinagoga del papa, alla quale non voglio in modo alcuno appartenere.

D. Se non volete appartenere ad essa, ed in questa città siete senza pastore, vi dichiarate da voi stesso fuori della Chiesa, giacché san Paolo dice che tutte le Chiese hanno il loro pastore.

R. Questo ragionamento non si regge; infatti, ci può essere qualche cristiano fra i Turchi, in paesi barbari, il quale, malgrado non sia nella congregazione dei fedeli e non abbia alcun pastore evangelico, pur se egli confessa Gesù Cristo, non lo si può reputare fuori della Chiesa cattolica, né meno cristiano degli altri. I pastori apparenti devono essere nella Chiesa apparente. Se la Chiesa non è apparente, per quale motivo cercarvi pastori e vescovi?

D. Basta, basta: la notte si avvicina, ed ancora non avete risposto intorno ai sacramenti. Ritornate in prigione, meditate, e conoscerete d'essere senza pastore, e intanto preparatevi a ritrattare.

R. Ritornerò volentieri alla prigione, ed andrò, se piacerà a Dio, anche alla morte.

SECONDO E TERZO ESAME

D. Secondo voi, quanti Sacramenti vi sono nella Chiesa?

R. Non so perché mi domandate il numero dei Sacramenti, mentre per Sacramento altro non s'intende che memoria e segno visibile di cosa sacra, come risulta dal capitolo Sacrificium e del seguente De Consecratione, Dist. 2. Pertanto, ogni volta che mi mostrerete il mistero e la memoria d'una cosa santa, di qualunque genere, io la riterrò per un Sacramento. S. Giovanni, nell' Apocalisse, cap. I, chiama sacramento la visione delle stelle e dei candelabri; e al cap. XVII la rivelazione della Donna e della Bestia. Lo stesso risulta da parecchi altri passi delle Sacra Scrittura, come dal cap. VI e XII della Sapienza. Ciononostante, sapendo bene a che miri la vostra domanda, vi dico esser pronto a rispondervi intorno ai Sacramenti di cui intendete parlarmi, purché vi degniate domandarmi categoricamente.

D. L'ordine sacro ed ecclesiastico, secondo voi, è un Sacramento?

R. L'ordine che voi chiamate sacro, non ha in sé alcun mistero; non essendo il carattere esterno che costituisca il ministro o il vescovo, ma l'elezione della Chiesa. Tutto il mistero, dunque, consiste nella sola unzione dello Spirito Santo fatta internamente. Ma io dico e confesso che il papa è nemico di Gesù Cristo, e che quanti altri portano il suo carattere non possono chiamarsi pastori o ministri di Cristo, fintanto che combattono sotto una bandiera diversa o altro capo che non sia Cristo.

D. Noi, dunque, siamo ministri del diavolo e non di Cristo?

R. Giudicatene da voi stessi. Le vostre opere vi manifestano, e di esse potrete fare giudizio, e voi e tutti quelli che vorranno.

D. Ardireste sostenere che i diaconi, i suddiaconi, i preti, i vescovi non siano ministri di Cristo?

R. Tutti sono ministri di Dio tutte le volte che non dipendano dal papa, annunciano il Vangelo, e presiedono alla parola di Dio, non a quella dell'Anticristo, portandone il marchio ed il carattere.

D. Qual è dunque questo carattere che voi riprovate, e chi è l'Anticristo, in che consiste il suo regno al quale accennate in alcuni vostri scritti?

R. In quanto al nome che deve tenersi in abbominio ed orrore, io dico che esso consiste negli ornamenti dei preti e frati, le loro vesti, cappucci, corone e simili frascherie. Il papato è un'istituzione degna dell'Anticristo, perché contraria al precetto del Signore, come sopra ho detto; giacché il nome di Anticristo in ultima analisi altro non significa che essere contrario a Cristo. Il suo regno è formato dai preti, frati ed altri sui quali egli ha potenza e dominio. Le Sacre Scritture ne parlano spesso, l'antico e nuovo Testamento ne fanno chiara testimonianza, e tutti coloro a cui il Signore ha trasmesso le eterne verità.

D. Cosa dite della cresima di cui si fa uso nel conferire gli ordini sacri?

R. Non essendo il carattere altro che un segno ed una figura impressa e scolpita in qualche cosa, e tali unzioni non imprimendo nulla nell'anima, neppure nel corpo, perciò non possono chiamarsi caratteri; ma altro non sono che segni e distinzioni del principe che le comanda, e di quelli che lo seguono e le portano,

D. E il battesimo lo chiamate sacramento?

R. Questo deve realmente dirsi Sacramento, poiché esso ci distingue quali servitori di Cristo: e per esso attestiamo che Cristo è morto per noi, e ci ha riscattati e lavati col suo sangue prezioso da qualunque iniquità e sozzura; insomma è una memoria della salvezza che ci viene da Cristo.

D. Cosa dite della cresima che si dà alla confermazione del Battesimo?

R. Essa non ha in sé alcun mistero; anzi essendo contro Cristo il ribattezzare, così tutto ciò che si aggiunge al battesimo è contro Cristo. E da questo potete giudicare che io non sono anabattista come alcuni mi accusano. Anzi siete voi che ci stimate Anabattisti paragonandoci a questi ultimi. 

D. Ma andiamo avanti. Potete negare che quando Filippo diede il battesimo in Samaria, Pietro e Giovanni, passando per quella contrada, giudicarono necessario di pregare Dio affinché inviasse lo Spirito Santo sui battezzati? Come, dunque, potete dire che la cresima non sia necessaria?

R. Confesso che dopo il detto battesimo (di cui si parla al cap. VIII degli Atti degli Apostoli) era necessario di pregare per la venuta dello Spirito Santo, per la ragione che quei Samaritani erano stati battezzati nel nome del Signore senza averlo ancora invocato, come si legge nel luogo citato. Ma degnatevi di rispondermi: Quando Paolo, Tito, Timoteo, Aquila, il Centurione ecc.: e quando lo stesso Gesù Cristo furono battezzati, quale confermazione si tenne dietro al loro battesimo? la cresima di cui mi parlate era loro necessaria?

D. Come? la cresima non seguì al battesimo del Centurione e della sua famiglia?

R. Sì il Centurione come gli altri che erano con lui ricevettero prima lo Spirito Santo, e poi furono battezzati; si può vedere nella sacra Scrittura.

D. La Cresima, il Sale, gli Esorcismi e tutto quanto comanda la Chiesa romana non sono necessari al battesimo?

R. Il battesimo si fa solamente con l'acqua e con le parole: «Io ti battezzo in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo»; come si può vedere dal battesimo di Paolo e degli altri di cui sopra ho fatto parola, e dal comando dato da Cristo (vedi Matt. XXVIII), quando incaricò gli Apostoli di andar predicando e battezzando. Ed egli stesso fu battezzato da Giovanni solo con l'acqua pura, senza né olio, né sale, né cera, né cresima, né esorcismo. Ciò ancora risulta dal significato della parola battezzare, che altro non vuole dire se non lavare con l'acqua, così come dimostra il Salvatore Gesù in s. Marco VII, allorché riprendendo i Farisei, dice: «Avendo lasciato il comandamento di Dio, vi tenete la tradizione degli uomini, i lavamenti degli orciuoli e delle coppe ecc.» Per la qual cosa io dico e sostengo che tutto quanto si aggiunge al battesimo, oltre l'acqua e la parola di Dio, dev'essere rigettato.

D. Se dunque il battesimo che noi amministriamo con tali cerimonie è cattivo e malamente conferito, bisogna che voi siate ribattezzato.

R. Non occorre, perché il battesimo non può essere corrotto dall'uomo vizioso e maligno; e ciò anche risulta dai vostri canoni al cap. Secundum Ecclesiæ, Dist. XIX ed al cap. Ecclesiis, Dist. 68, ed al cap. Dedit baptism. ecc.

D. Della confessione vi burlate ugualmente?

R. Io trovo nella Scrittura che il cristiano deve confessare i suoi peccati in due maniere; in primo luogo, a Dio, e lo dobbiamo fare continuamente, come sta scritto nella prima epistola di Giovanni. In secondo luogo, a colui che, abbiamo offeso, col quale siamo tenuti di riconciliarci, e mostrarci pentiti di aver errato. E di ciò parla s. Giacomo al cap. V, che voi citate spesso per l'utile della vostra borsa. La terza confessione che voi chiamate auricolare, non l'ho ancora trovata nella Sacra Scrittura, e la Chiesa cattolica non l'ha sempre e generalmente approvata, né accettata, come la Chiesa Greca, e lo dice il cap. Quidem ex de  pænitentia, Dist. 1.

Inoltre, i frutti decidono della qualità dell'albero; essendo buoni mostrano che l'albero che li produce è parimenti buono; essendo cattivi, che la radice dell'albero è corrotta. Or dalla vostra confessione auricolare non vengono che cattivissimi frutti; adulteri, incesti, ed ogni sorta di umane fornicazioni, omicidi, tradimenti, inganni, ed insomma tutte le scelleratezze di cui l'uomo è capace. Essa dovrebbe piuttosto chiamarsi, Confusione che confessione. Secondo voi, i peccati non possono essere rimessi che in virtù dell’imposizione delle mani fatta da un prete o monaco; e quanto ciò sia falso è chiaro come la luce del sole, essendo i nostri peccati rimessi per la sola virtù del sangue di Cristo. Perciò io ritengo di conseguenza, tutte queste sette di chierici e frati, con la loro confessione auricolare (con la quale pretendono che i peccati siano rimessi)  tanti nemici di Cristo, e perciò maledetti; mentre da loro non può venire che maledizione, non benedizione; e lo dimostra il vostro capo Non oportet ed il seguente, col cap. Maledicam 1, q. 1, che è tratto dal concilio di papa Martino. In ultimo, tale confessione auricolare è condannata da s. Paolo, il quale parlando degli ultimi tempi, nella seconda epistola a Timoteo, cap. III, afferma: « Essi hanno apparenza di pietà, ma hanno rinnegata la forza di essa anche tali schifa; poiché nel numero di costoro ci son quelli che sottentrano nelle case e cattivano donnicciole cariche di peccati, agitate da varie cupidità, le quali sempre imparano, e non possono pervenire alla conoscenza della verità  ».

D. Voi dunque osate gettarci in viso l'accusa di eretici? noi ce la ridiamo. Qual è la vostra opinione intorno al sacramento dell'Eucarestia? La reputate un sacramento?

R. Si.

D. Qual cambiamento! prima negavate ogni cosa, ed ora confessate tutto. Vorreste forse disdirvi?

R. Le cose che dovevano negarsi le ho negate, ed in ciò sarò irremovibile, perché altrimenti sarei abbandonato dalla grazia divina.

D. Or bene, credete che nell'ostia ci sia veramente il corpo ed il sangue di Cristo tal quale era sulla croce, e che ciononostante gli accidenti, come sarebbe la bianchezza e la rotondità rimangono nel loro stato?

R. lo credo fermamente che non solo gli accidenti non cambiano, come voi dite, ma neppure la sostanza, rimanendo l'ostia pane come prima; e di ciò fa testimonianza la Scrittura e la stessa esperienza ce lo prova; poiché si vede chiaro che l'ostia, benché consacrata non dura che un certo tempo, e poi si corrompe, e dalla sua corruzione e putredine nascono i vermi. Or io domando da dove vengono questi vermi? non è possibile che vengano dalla sostanza la quale, secondo voi, è mutata in corpo di Cristo, e sarebbe cosa orribile il dire che il corpo di Cristo produca dei vermi. Bisogna dire dunque che essi vengano dalla sostanza del pane, nonostante la vostra falsa dottrina.

D. Avete un'empia opinione.

R. Ma lo stesso s. Agostino dice altrettanto nel libro della dottrina Cristiana, cap. 6: leggetelo voi stessi, io non l'interpreto a modo mio. Lo dicono anche i Canoni della Chiesa Romana, nel cap. Prima quidem e cap. Quid sit. Dist. Il de Consecrat. con i sei capitoli che seguono. Noi mangiamo, è vero, il corpo di Gesù Cristo e beviamo il suo sangue, ma ciò avviene spiritualmente, come dicono le Sacre Scritture ed i Dottori, secondo i quali noi nella cena partecipiamo al corpo ed al sangue di Cristo e come ciò avviene ce lo insegna il Signore in s. Giovanni cap. VI. 

D. Le vostre sono chimere. Rispondete: il pane ovvero l'ostia consacrata deve essere adorata?

R. Se la si adora, si commette una idolatria. Infatti, s. Agostino nel libro delle sue ritrattazioni dice che non bisogna adorare nessuna cosa che sia visibile o palpabile.

D. Bene, bene, terremo conto di tutto questo. Ma secondo voi l'estrema unzione è sacramento?

R. No.

D. Ma com'è possibile che siate così perverso? Non è ordinato nella Sacra Scrittura e specialmente in s. Giacomo cap. V, che quando qualche fedele è ammalato, la Chiesa debba ungerlo per liberarlo, per merito di questo sacramento, da ogni languore?

R. S. Giacomo dice questo nell'interesse della salute corporale; infatti, allora si pregava Dio affinché gli piacesse liberare l'infermo dalla malattia; ma voi non somministrate l'unzione se non quando l'infermo è giunto in punto di morte; e quel che è peggio, voi ricusate di darla in altro tempo. Ciò detto, chi è così cieco da non vedere quanto ciò sia lontano dall'intenzione di s. Giacomo? È una meraviglia che vi sia riuscito d'infinocchiare simili follie alla povera gente!

QUARTO ESAME

D. Cosa pensate intorno all'intercessione dei santi?

R. Io non riconosco altro intercessore presso Dio che Gesù Cristo, e non voglio averne altri.

D. Come? non intercedono essi per noi? S. Paolo non supplicava le Chiese affinché pregassero per lui?

R. Ciò è vero: ma che relazione hanno i morti coi vivi? S. Paolo pregava i vivi d'indirizzare le loro orazioni a Gesù Cristo, affinché intercedesse per lui davanti al divino Padre, ma non trovo in alcun luogo che s. Paolo o altro Apostolo abbia invocato un morto, neppure il buon ladrone, della cui salvezza si aveva certezza poiché ne aveva fatta testimonianza lo stesso Redentore: né Giovanni Battista il quale, come disse Gesù Cristo fu il più grande uomo della terra; né Abramo, Giacobbe, Isacco, Mosè, o altri Padri. Ora io dico: se si dovessero pregare i morti, e se i santi intercedessero veramente per noi, perché gli Apostoli non pregarono nemmeno una volta alcuno di tali santi e servitori di Dio per intercedere in loro favore? Ma ditemi, di grazia, qual è l'intercessione che fa Gesù Cristo presso il suo divino Padre, e di che cosa Egli lo prega?

D. Cristo intercede per noi in varie necessità per i suoi meriti.

R. Dunque è il solo Cristo che intercede per noi; giacché gli altri non possono intercedere per i propri meriti.

D. I santi intercedono per i meriti di G. Cristo, ed anche per i propri. Ma a chi giova il parlarne più oltre se voi non volete prestarci fede? ciò basta.

R. Io non credo che in Gesù Cristo, e non amo né adoro altri che lui; essendo certo che Egli è il solo e vero intercessore e mediatore presso Dio. Ma degnatevi di riflettere come di per voi stessi vi contraddite, dicendo prima che l'intercessione non si fa che per i meriti di G. Cristo, e poi aggiungendovi anche i meriti dei santi! Del resto, se non vi aggrada di parlarne più oltre, permettete almeno che io dica tutto quello che penso su questo argomento:

Il volgo suppone che Cristo parli con il suo celeste Padre, come quaggiù si usa parlare con i grandi signori e re; e ciò deriva dall'ignoranza che si ha di Gesù Cristo. Il Padre ed il Figlio sono una medesima sostanza, quantunque siano diverse persone. Egli siede alla destra del Padre, e mentre intercede è allo stesso modo giudice; per tale ragione possiamo sperare che la sentenza ci sarà favorevole. Egli intercede per la sua morte e passione, in virtù della quale ci ha riconciliati col Padre; poiché essendo figli d'ira per opera del peccato originale, non ci era concesso di comparire dinanzi al tribunale della sua giustizia. 

Perciò Dio inviò il Figlio per giustificarci con il suo sangue, in modo che Dio vedendoci sotto la protezione del suo Primogenito, e membri del Corpo di Cristo, ci abbraccia come suoi figliuoli. In questo modo tutte le volte noi preghiamo il Padre per la passione e morte del suo Unico Figlio, altrettante volte Egli si riconcilia e diviene misericordioso verso di noi. Ecco qual è l'intercessione che fa G. Cristo per noi. Ed in questo modo lo pregavano gli stessi santi prima di morire, non per i loro meriti, o quelli degli altri, ma per quelli solamente di Gesù Cristo. 

Dunque, se essi non riconobbero altro intercessore che Cristo, e non ottennero il regno dei cieli che per i soli meriti di Cristo, perché dunque volete costringere gli uomini a pregare per i meriti di altri, e in modo diverso da quello insegnatoci dallo stesso divino Maestro? Egli, infatti, dice in s. Matteo, cap. VI. verso. 7: «Quando farete orazione, non usate soverchie dicerie come i pagani; perché essi pensano d'essere esauditi per la moltitudine delle loro parole; ma orate in questo modo: «Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome; il tuo regno venga; la tua volontà sia fatta in terra come in cielo. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimettici i nostri debiti, come noi ancora lì rimettiamo ai nostri debitori; e non indurci in tentazione, ma liberaci dal maligno; perché tuo è il regno, la potenza e la gloria in sempiterno. Amen.» 

Se Dio è divenuto nostro Padre, che bisogno abbiamo noi di mediatori? Perché chiamare un terzo fra il Padre ed il Figlio per pregare in favore degli altri figliuoli? Se noi siamo membri di Cristo, perché non dobbiamo andare con fiducia direttamente al Padre nostro, ed umiliarci davanti a Lui affinché ci perdoni, anziché mendicare l'aiuto d'un terzo, e mostrarci in certo modo disubbidienti e fuggitivi? 

Rimanga chi vuole in una simile cecità; in quanto a me non riconosco che il solo Cristo per mio intercessore e salvatore. Né mi stupisce vedere il mondo caduto in tanta cecità ed ignoranza; ciò avviene perché la perversità degli uomini ha mutata la verità in menzogna, adorando le creature in luogo del Creatore.

D. Pare che vogliate farci una predica. Con il nominarci spesso G. Cristo, vorreste forse convertirci alla vostra opinione? Non sforzatevi di sfruttare il vantaggio, giacché ci avete rotta la testa parlando così lungamente di G. Cristo. La vostra conclusione, tra l’altro, è che non ammettete l'intercessione dei santi, non è vero?

R. Mi basta l'intercessione del solo Gesù.

D. Sarebbe meglio che voi ne foste imitatore di fatto e non di parole. Dite ora, vi burlerete ugualmente del Purgatorio? 

R. Io non conosco altro purgatorio, vale a dire, Gesù Cristo, che siede alla destra del Padre, e che ha purgato i nostri peccati.

D. Che? vi burlate dunque di ciò che i santi dottori han detto intorno al purgatorio?

R. Osate dire che tutti i santi dottori l'han confessato, mentre s. Agostino (che è uno dei più eccellenti) scrivendo a Pelagio, lo rimprovera nel cap. intitolato Hypognosticon ?

D. Pelagio diceva esservi un terzo luogo per i bambini, che muoiono senza battesimo, e s. Agostino sostiene che fra il paradiso e l'inferno non vi sia un terzo luogo per essi; ma non parla di Purgatorio.

R. Ho piacere che voi confessiate aver S. Agostino scritto ciò contro un eretico e che attenendovi alle sue parole voi pure riteniate che fra il paradiso e l'inferno non vi sia un terzo luogo. Essendo così (come realmente è) dove si trova il vostro purgatorio, in cielo, ovvero nell'inferno?

D. Non tocca a noi di rispondere, uomo perverso.

R. È certo che è in cielo, dov'è letizia, non può esservi un luogo di pena; sarà dunque nell'inferno. Ma in qual passo della Sacra Scrittura si dice che nessuno sia mai ritornato dall'inferno. Se dunque il purgatorio esiste presso di voi, in modo che a vostro piacimento possiate entrarvi ed uscirne, ciò non mi riguarda, perché non sono della vostra setta, e se io vi entrassi non potrei più uscirne. Se il purgatorio è un luogo di pena (non eterna, come voi affermate) dopo la consumazione dei secoli chi vi resterà dentro? Senza dubbio rimarrà vuoto, poiché i malvagi avranno un fuoco eterno ed i buoni un'eterna beatitudine, come ci insegna la Scrittura. Rimanendo vuoto, che sarà di tanti milioni d'indulgenze che si impartiscono alla gente cieca e sciocca? E questo è poco. Se il purgatorio, secondo voi, cesserà, ne segue un altro inconveniente più assurdo, cioè che il paradiso e l'inferno saranno egualmente temporali, giacché il purgatorio, a mente vostra, partecipa della natura di entrambi. 

Del resto, voi sapete bene dove realmente si trovi il purgatorio, cioè nelle borse dei creduli, che voi purgate straordinariamente, e perciò dovrebbe chiamarsi più propriamente pagatorio. È curioso che i papi, vescovi, preti e monaci si vantano con arroganza di essere i successori di s. Pietro e degli Apostoli, mentre poi non ne seguono le dottrine e fanno l'opposto di quanto questi ultimi facevano, e vendono la gloria ed i suoi doni, che gli Apostoli impartivano gratuitamente. Ma le vostre leggi non dicono che la grazia non concessa gratuitamente non sia grazia come risulta dal cap. Gratia I, quæst. 1? Or come possono concederla coloro che sono così avari? Come, essi che sono simoniaci potranno dar benedizione, mentre ogni simoniaco invece di benedire, maledice, come afferma giustamente il cap. Ventum est I, quæst. I?

D. Che importa a voi di questo? Badate solamente di essere un buon cristiano, e ritrattate i vostri errori; poiché il Signore punirà i malvagi una volta sola.

R. lo son cristiano, e Dio mi guardi dal diventare papista.

D. Ne sarete punito. Ma poiché citate i canoni, diteci se sia lecito ad un prete di vendere i propri benefici.

R. Ma voi stessi rappresentate questa vendita come simonia, ed io aggiungo che non solamente il prete non possa vendere i benefici, ma neppure tenerli senza far sacrilegio. Poiché chi li possiede, defrauda il prossimo, spendendo male le rendite che ricava dai suoi sudori e dal sangue dei poveri.

D. Certamente, chi li spende male, fa male; ma chi vi dà il diritto di farvi giudice di questo? Forsennato! non avete ancora 24 anni e presumete di correggere e riprendere la Chiesa; voi avete bisogno d' imparare, neanche dovete illudervi di sapere qualcosa, arrogante!

R. Io non dico di voler correggere la Chiesa, non essendo questo il mio ufficio: ma ho bene il diritto di far sì che il mio spirito non cada in errore. In quanto all'età poi, mi stupisce quello che mi obbiettate, mentre da parecchi luoghi della Scrittura risulta che l'intelligenza non viene dall'età, ma dallo Spirito. Giovanni Battista ricevette lo Spirito nel ventre di sua madre; Daniele era fanciullo, ed anche i tre ebrei. Timoteo e Tito erano forse carichi di anni quando furono eletti vescovi? E s. Paolo non dice: Miseri coloro che badano agli anni, ai mesi, ai giorni! Che rispondete alle vostre leggi che comandano al vescovo di non ricusare d'apprendere da uno più giovane, ma più dotto di lui?

D. Credete d'essere uguale a coloro che avete nominato?

R. Non credo questo, ma per quanto è in me, faccio di tutto per somigliare ad essi.

D. Insomma la vostra malignità ha profonde radici; tornate alla prigione, e compiacetevi dei vostri sogni, vedrete ciò che sarà di voi! 

Tanto senno, tanta dottrina e tanta fede, in età così verde, riempivano di meraviglia tutti quelli, sia cattolici che riformati, ai quali giungeva notizia di questo nuovo processo, in modo che il nome di Pomponio Algieri, in breve tempo, divenne celebre in Italia e fuori, segno d'imprecazione ed orrore, o di stima e pietà, a norma delle diverse passioni da cui gli uomini erano governati. 

Chiuso il processo, l'inquisito fu trasferito a Venezia; dove i Senatori avendo misericordia della sua giovinezza, e volendo conservare all'Italia questo giovane che prometteva grandi cose, tentarono con il massimo impegno di salvarlo. Ma la base della sua salvezza doveva essere il ritorno alle dottrine cattoliche; e quanto lungi egli fosse dal fare la benché minima concessione in materia di fede, risulta da una lettera scritta di sua propria mano, nelle prigioni venete, ai suoi condiscepoli ed amici di Padova; lettera spirante immensa pietà e non comune fermezza d'animo, ricca d'alti pensieri, di generose abnegazioni, non meno che di bellezze letterarie. 

«Per alleviare, egli dice, il dolore che provate a mio riguardo, è necessario che vi renda partecipi delle mie consolazioni, affinché possiamo rallegrarci insieme, e renderne grazie al Signore. Ho trovato, (chi lo crederebbe?) ho trovato il miele nelle fauci del leone, un dolce ricetto nell'orrendo precipizio, la gioia nell'abisso, e nel tenebroso soggiorno della morte le più gradevoli immagini della vita. Mentre altri piangono, io esulto; e mi sento pieno di forza, quando altri tremano; lo stato più misero mi ha colmato di pure delizie, la solitudine mi ha posto in contatto con il bene, ed i duri ceppi mi hanno dato riposo. 

Il cieco mondo, invece di credere a tali meraviglie, con atto e voce compassionevole sarà forse disposto a domandarmi: "Come sosterrete i rimproveri e le minacce degli uomini, il fuoco, i rigori dell'inverno, e tutti gli altri dolori inerenti alla vostra situazione? Non ripensate voi al paese natale, ai beni, agli amici, ai piaceri, agli onori? Potete scordare la gioia degli studi e le potenti distrazioni che essi vi procuravano? Vorrete perdere così il frutto di tante fatiche e veglie, e di quel lodevole desiderio di sapere che fin dall'infanzia vi prese? Non avete timore di questa morte che si libra sul vostro capo per punirvi? Uomo fanatico ed insensato! potreste con una parola soltanto assicurarvi di ogni bene ed evitare il supplizio, e vi ostinate a resistere! È ben selvaggia questa fermezza per cui chiudete l'orecchio ai consigli, alle esortazioni, ed alle stesse preghiere di tanti augusti, pietosi e saggi senatori!"

Ma uditemi, o ciechi del mondo: vi è cosa che bruci più del fuoco che brucia per voi? vi è cosa che sia più fredda dei vostri cuori che vegetano nelle tenebre e lungi dalla luce? Qual vita si può dire più disgustosa, più inquieta, più agitata che la vostra? ditemi: vi è un paese natale più degno d'amore che il cielo? un tesoro più prezioso che la vita eterna? Chi sono i nostri parenti, se non coloro che ascoltano la parola di Dio? Dove trovare ricchezze più abbondanti ed onori più magnifici se non in Cielo? Dite, uomini insensati, le scienze non ci sono state date forse per condurci alla conoscenza di Dio? e se noi non lo conosciamo, le nostre fatiche, le nostre veglie, tutti i nostri sforzi non sono perduti? La prigione senza fallo è dura per il colpevole; ma all'innocente è dolce, essa distilla il nettare e la rugiada: è un luogo deserto e selvaggio, ma per me è una valle spaziosa, il più delizioso luogo della terra. 

Ascoltatemi, uomini sciagurati, e giudicate se per me possa esservi al mondo un prato più ridente. Qui mi si schierano innanzi re e principi, città e nazioni. Qui contemplo la sorte delle battaglie, la disfatta degli uni, la vittoria degli altri, la morte di questi, il trionfo di quelli. Ecco la montagna di Sion, ecco il cielo. Gesù Cristo appare nelle prime file cinto di patriarchi, profeti, evangelisti, apostoli, ed altri servitori di Dio. Egli mi abbraccia teneramente; gli uni mi ispirano coraggio, mentre gli altri mi invitano a gioire coi loro celesti canti. Ciò detto, potrà dirsi che io sia solo, nel mentre un gruppo così numeroso e nobile mi circonda? Agli occhi miei si presentano, per infondermi, con il loro esempio, fermezza e coraggio, alcuni martiri crocifissi o scannati, altri lapidati o squartati, altri arrostiti o morti nell'olio bollente; questi acciecati, quegli altri con la lingua strappata, altri ancora decapitati o mutilati, o gettati in ardenti fornaci, o dati per pasto alle fiere! Ah! non dovrò rimanere a lungo tempo in questo soggiorno; è in cielo che io cerco la nuova Gerusalemme; già sono nel cammino che conduce ad essa, e son certo di trovarvi ricchezze, onori, parenti ed amici. Quaggiù sono stato divorato dal caldo, ho tremato di freddo, ho vegliato giorno e notte, ed ora tutti questi travagli sono al termine. Ogni giorno, ogni ora mi è costato uno sforzo, ma il vero culto di Dio è consolidato nel mio cuore, ed il Signore mi colma di gioia e di pace. E chi oserà maledire la vita ch'io traggo, e riputare infelici i miei giorni?......

Se con la morte comincerà per me una vita avventurosa, perché mai l'uomo ribelle vorrà sgomentarmi con l'idea della morte? Oh, come essa è ridente! soffrire come Gesù Cristo ha sofferto, non è il pegno più sicuro della salvezza? .... O miei cari fratelli, siate forti allorché le tentazioni vi assalgono; la vostra pazienza sia perfetta in ogni cosa, poiché la sofferenza è la sorte che vi è riserbata in questa vita. Infatti, sta scritto: si avvicina il tempo in cui chi vi tormenterà, crederà di compiere la volontà del Signore. Le tribolazioni e la morte son dunque i segni d'elezione e della vita avvenire. 

In quanto a ciò che si dice della nobiltà veneziana e dei Senatori rappresentati come uomini augusti, saggi, giusti, pietosi, pacifici, dotati del più nobile carattere, io apprezzo tutto questo nel più giusto valore. Ma l’Apostolo ci insegna esser meglio obbedire a Dio che agli uomini, e noi non siamo obbligati d'obbedire alle autorità di questo mondo, se che dopo d'avere compito la legge di Dio».

Questa lettera della quale abbiamo tradotto i principali brani, porta la data del 21 luglio 1555.

I Senatori, quantunque bramosi di salvarlo, non potendo da lui ottenere alcuna concessione, né trovando modo di colorire la loro clemenza, lo condannarono alla galera. Ma più tardi, cedendo alle sollecitazioni del Nunzio Apostolico, inviarono Algieri a Roma come una vittima degna del nuovo pontefice Paolo IV, il quale lo fece gettare vivo nelle fiamme all'età di 34 anni. La magnanimità cristiana, di cui diede esempio il giovane martire, spaventò gli stessi cardinali che vollero assistere all'orribile supplizio, e invase di meraviglia e terrore l'insensata moltitudine che vi era accorsa come ad uno piacevole spettacolo.

Tratto da : Vita e martirio di Pomponio Algeri - Claudiana 1855

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