La salvezza di Pelagio o tramite le opere

François Puaux (1806-1895)

Il nemico più pericoloso che il cristianesimo abbia mai avuto nacque in Inghilterra nel quarto secolo: si chiamò Pelagio. Era un monaco colto ed erudito; fu lui che per primo inventò il dogma delle opere meritorie della vita eterna e portò via da Cristo il suo titolo di Salvatore, ponendo nelle forze dell'uomo quella misericordia divina che la misericordia divina aveva posto nel dramma sanguinoso e misterioso del Golgota.

Pelagio aveva come compagno un monaco di nome Celestio; essi portarono la loro disastrosa dottrina a Roma e vi fecero presto molti discepoli; i loro successi attirarono l'attenzione dell'opinione pubblica. Il celebre Agostino si distinse nella lotta; sconfisse Pelagio, ma non uccise il pelagianesimo, che divenne lebbra della Chiesa.  Fino ad allora i membri della Chiesa ritenevano che il cielo fosse un dono di Dio, ma non appena seppero che il cielo era da guadagnare e non donato, non lo dimenticarono più, e mentre lanciavano una maledizione sul monaco inglese, molti seguirono la sua dottrina, gettando al vento le sue ossa, ma furono impregnati del suo spirito. 

L'ambizione clericale comprendeva tutto ciò che poteva riservarle il futuro con una dottrina che pone la salvezza nelle forze dell'uomo. Si trattava solo di sfruttarla, e come in materia di ambizione, gli abitanti della chiesa divennero maestri, la miniera pelagica divenne un Eldorado per questi uomini che credevano solo nella loro avarizia e sensualità. È vero che l'hanno sfruttata con un'abilità che stupisce e con una persistenza che spaventa. Che cosa può fare la doppia sete di oro e di onori? Quando è necessario, nega Cristo, e mette il piede sulla sua croce con il segno sulla fronte.

Se seguiamo con attenzione lo sviluppo della dogmatica, dal quarto secolo fino al Concilio di Trento, scopriamo senza sforzo che il pelagianesimo non cessa neanche per un attimo di entrare nella formazione dei dogmi e nell'invenzione delle cerimonie, come uno dei loro elementi costitutivi, poiché i meriti sono legati a tutto, alla costruzione di un monastero come all'ascolto di una messa, al dare ai poveri come all'uccidere gli eretici, alla preghiera per le anime in purgatorio come alla corsa in Palestina per combattere i musulmani; Il cielo non è più dato, ma guadagnato. .. Ma, come tutti gli inventori, Pelagio è antiquato. Insegnava che si acquisisce il cielo con le proprie virtù, ma il suo metodo era troppo austero, e di volta in volta si trovava un modo per essere salvati persino dalle virtù altrui, perché non si aveva abbastanza coraggio per averne di proprie.

Si trattava in effetti di un Pelagiano più di Pelagio, si trattava di qualcosa di peggio, perché l'illustre eretico, che insegnava che l'uomo poteva salvarsi con sforzi nobili e generosi, non aveva mai insegnato che i meriti degli altri avrebbero aperto le porte del cielo. Ma Pelagio, scomunicato dalla Chiesa romana, attesta alla lettera queste parole così ben note: Che non si può negare se non per proprio merito.

Il Concilio di Trento riabilitò, senza rendersene conto, il monaco inglese, quando anatemizzava coloro che negavano la necessità delle opere meritorie per la vita eterna. Ma la riforma non si è accontentata di condannare Pelagio, ha fatto di più, ha rimesso sul campo la grande dottrina della giustificazione per fede. Sebbene la condanna del rivale di Sant'Agostino sia scritta alla lettera nelle sue Confessioni di Fede, essa non poteva chiudere completamente le porte delle sue chiese alla sua persona, e senza che loro ci credano, ci sono molti protestanti che sono i seguaci di quest'uomo, che hanno allargato la strada tanto quanto lui ha ristretto la via stretta. È proprio per questi fratelli e per i cattolici che scriviamo, chiedendo a Dio di dirigere la nostra penna, in modo che da essa scaturiscano tratti di luce sufficientemente luminosi da mostrare loro il profondo abisso verso il quale stanno viaggiando.

Prima di arrivare al cuore del nostro soggetto, vogliamo essere compresi, perché, ahimè, non sempre siamo compresi, nonostante le nostre buone intenzioni; e lui è un povero disgraziato che affoga nell'alluvione che lo trascina, che si irrita alla vista della mano ruvida ma utile che lo raggiunge. Con lui abbiamo bisogno di forme, e anche di forme tali, che prima di mettergli le mani addosso, dovremmo chiedergli perdono per averlo fatto; ma, grazie a Dio, non siamo ancora scesi a compromessi con l'errore, e se siamo disposti ad essere pieni di compassione per il peccatore, non siamo pronti ad essere pieni di compassione per esso.

Non gli dobbiamo né amore né considerazione, perché merita solo il nostro odio; e se le nostre mani fossero abbastanza forti, la tratteremmo come Davide trattò il suo leone; come una sentinella sulla strada che porta all'abisso, ogni cristiano deve darle una descrizione esatta, affinché gli uomini la riconoscano e rifiutino di prenderla come loro guida.

L'errore non è mai più pericoloso di quando si incarna nei dottori, che hanno un'apparenza di pietà, e che coprono il piombo della loro dottrina con un leggero strato d'oro. 

Oh, allora si scatena il caos, perché il lupo divoratore scompare sotto la pelle delle pecore. Tale era Pelagio. Separato dal mondo per l'abito da monaco, ha portato all'esercizio del suo ministero un notevole zelo che contrastava, bisogna ammetterlo, con la tiepidezza di certi dottori ortodossi del suo tempo. La sua eloquenza era semplice e piacevole, le sue maniere insinuanti, la sua conoscenza variava, la sua dogmatica era ampia, perché aveva la capacità di armonizzarla con quelle stesse tendenze del cuore che il cristianesimo si scontra a testa alta. Aveva così ammorbidito gli insegnamenti del Crocifisso che essi avevano perso la loro santa durezza agli occhi dei suoi ascoltatori.

Egli negò il peccato originale, la conversione, l'elezione della grazia, le pene eterne; chiamò Gesù, Salvatore; ma Gesù non era per lui quell'Agnello di Dio, che dà il suo sangue come riscatto per i nostri peccati; era solo un grande profeta che stava morendo, vittima dell'ingiustizia degli uomini, ai quali Dio lo aveva donato, perché avessero in lui un modello perfetto in tutte le cose; valente come tutti gli innovatori che insegnano, Pelagio era attento a non formulare il suo insegnamento con l'acutezza che contraddistingue il famoso vescovo di Ippona, la Bibbia parlava troppo chiaramente per questo, sapeva che era ortodossa, e mettersi in aperta contraddizione con essa sarebbe stato tanto maldestro quanto impossibile;  non lo fece, lo prese come sua regola, come gli eretici di tutti i tempi; solo che la adulterò interpretandola, senza mai volersi ribellare ad essa.

C'è una circostanza speciale nella vita di questo eretico che merita di essere studiata. Il suo insegnamento faceva molto rumore e faceva molto scalpore. Il clero si commosse e lo denunciò a Zozime, vescovo di Roma. Ma Pelagio, in un memorandum che presentava al pontefice, nascondeva così bene le sue dottrine, usando i termini della Scrittura, che invece dell'anatema che i suoi avversari si aspettarono, ottenne una clamorosa approvazione. Più tardi, è vero, Zozime, meglio informato, lo condannò... Ma Pelagio, rafforzato dalle parole di approvazione di Zozime, diffuse nel corpo della Chiesa il virus delle sue dottrine, e preparò la strada all'Arminianesimo, nello stesso momento in cui incitava alla corruzione della morale da parte dell'indifferenza religiosa.

Ci lasciamo trascinare parlando di Pelagio solo perché, pur essendo morto, rivive nei suoi insegnamenti, e oggi più che mai dobbiamo combatterlo e togliergli dalle spalle i vestiti ortodossi che fanno credere alla folla che questo lupo sia solo un pastore. Per fare questo, dobbiamo affrontare la questione a testa alta, e chiederci se è possibile per l'uomo fare opere meritorie per ottenere la vita eterna. Il punto cruciale della controversia è qui, e non altrove. La questione da discutere è della massima importanza; Dio non voglia che queste sante verità debbano soffrire della debolezza del loro difensore!

Nella grande e vitale questione che ci riguarda, non si tratta di sapere se l'uomo può fare del bene, prendendo queste parole nel loro senso più generale; nessuno oserebbe dubitarne, e se ci fossero dei pessimisti tra i nostri lettori, li rimanderemmo a questo libro che i rettori della scuola hanno messo nelle mani dei loro alunni venticinque anni fa, per dare loro l'amore della virtù e delle belle azioni. - Non si tratta quindi di patriottismo, di amicizia, di carità, di devozione, ecc. ma di opere fatte per meritare il cielo. Queste opere possono essere degne di vita eterna solo se sono dotate di certe caratteristiche che le rendono degne di vita eterna. 

Anzi, per ironia definiremmo meritoria un'opera che ci sarebbe stata commissionata. E se un uomo orgoglioso della propria giustizia ci dicesse: Andrò in cielo perché ho osservato il sabato del Signore, ho onorato mio padre e mia madre, ho amato il mio prossimo, ho perdonato il mio nemico, ho fatto l'elemosina ai poveri, ho visitato gli ammalati; noi risponderemmo: È dunque lecito che tu profani la domenica, che disprezzi i tuoi genitori, che odi il tuo prossimo, che non perdoni il tuo nemico, che sei duro con i poveri, che non hai il coraggio per chi soffre? Se egli insistesse dicendo, mostrandoci la legge di Dio: Ho osservato tutti i suoi comandamenti, gli risponderemmo con Gesù Cristo: Tu sei un servo inutile. (Luca, cap., 17, v. 10).

Se le opere commissionate non meritano né salario né ricompensa, figuriamoci quelle che non lo sono? Infatti, in quali pagine della Sacra Scrittura leggiamo che dobbiamo farci cantare le Messe, farci suonare le campane, coprirci con un abito per morire più santi?

In quale capitolo della Sacra Bibbia leggiamo che dobbiamo fare la Quaresima, sederci in confessionale, correre in pellegrinaggio, amministrare la disciplina, bruciare l'incenso ai santi, baciare le reliquie? ecc. ecc.

Sono opere morte che hanno solo il triste e pericoloso merito di allontanare gli uomini dalle fonti della vita e di accecarli, facendoli correre dietro a una falsa santità.

Ma perché noi possiamo gloriarci nelle nostre opere, sarebbe necessario almeno che il loro merito (se c'è un qualsiasi merito) sia per noi personale, perché se la gloria appartiene ad un altro, non abbiamo il diritto di rivendicarla. Ebbene allora, cari lettori, diteci cosa c'è di buono in voi che vi è proprio; presenterete la vostra intelligenza che consacrate al servizio del Signore.... Ma questa intelligenza viene da te? Non te l'ha data lui? Tu ti glori nella tua memoria, nella tua conoscenza, nella tua debolezza; ma tutto questo non ti è stato dato da Lui da cui proviene ogni grazia eccellente e ogni dono perfetto? 

Se tutto ciò che c'è di buono in voi è dunque da Dio, non so perché vorreste vedere il merito dove il buon senso vede solo la gratitudine. Benedite il vostro Maestro per le grazie che vi concede, e invece di costruire il piedistallo della vostra superbia, fatene il piedistallo della vostra umiltà, riconoscendo che da soli non siete altro che polvere e cenere, e che ciò che vi appartiene a pieno titolo sono le vostre miserie e i vostri peccati.

Non dimentichiamo in questa discussione, che chi si affida alle proprie Opere, ha in vista un oggetto, che deve essere dato loro come qualcosa che gli è dovuto. Ebbene, cos'è quell'oggetto?

Si tratta di un dominio? No. 

È un tesoro? No. 

È un principato? No. 

È un trono? No. 

È uno scettro universale? No. 

E allora cos'è? 

È qualcosa di così grande, così inaudito, che la più alta ambizione, sostenuta dalla più potente immaginazione, non avrebbe mai realizzato, se Dio non ce l'avesse rivelato nella sua Parola. Questo è il cielo in tutta la sua gloria e in tutta la sua eternità di beatitudine e felicità. E tu, cosa presenti a Dio in cambio di questo tesoro inestimabile? Oh, non intendo trattenermi, poiché non avete paura di dirlo; voi lo esponete,

Tu... un monastero. 

Tu... una fontana di acqua santa. 

Tu... un altare. 

Tu... una campana. 

Tu... ornamenti da chiesa. 

Voi... pellegrinaggi. 

Voi... messe. 

Tu... dei buoni sconto per la carne. 

Tu... buoni per i pacchetti. 

Tu... donazioni in denaro. 

Tu, il tuo titolo di membro di un ufficio di beneficenza o di un consiglio presbiterale.

Tu... oh! Basta! Basta! Basta! Basta... E se ora non capite, e se credete ancora che il cielo sarà la ricompensa delle vostre opere, posso andare senza paura, e offrire alla Regina d'Inghilterra qualche penny in cambio della sua corona, e sarò mille volte più sicuro di metterla sul mio capo, che voi, sulla vostra, la corona celeste, con il prezzo che offrite per essa; lasciate che vi dica, se vi offendo nelle vostre più care credenze, un cielo che l'uomo può comprare è un cielo che non deve valere granché.

Potreste forse dire che esageriamo il significato della dottrina delle opere meritorie, per darci il piacere indelicato di una facile vittoria; se lo facciamo, è a nostra insaputa, perché, in fondo, quando si sostiene che è necessario fare opere meritorie per entrare in cielo, concludiamo con buon senso che il cielo è la ricompensa per queste opere. Altrimenti, dichiariamo o che la parola meritoria non ha alcun significato, o che non sappiamo come metterla nelle nostre valutazioni. Ma qui possiamo essere fermati dicendo, con voce semi-pelagiana: Non insegniamo che le nostre opere da sole ci salvano, ma che ci aiutano a salvare noi stessi.

Il piombo può nascondere la sua natura sotto uno strato d'oro, ma non regge la prova decisiva del punzone. Questo è l'errore; il vello della pecora non le fa perdere la sua natura di lupo. Infatti, chi sostiene che se le opere non salvano nella loro interezza, almeno aiutano a salvare, getta senza dubbio, sul volto di Cristo l'oltraggio più sanguinoso che abbia mai ricevuto sulla sua croce.

Che oltraggio! volete far gridare... che oltraggio! Ma, poveri ciechi, non capite che state applicando alle vostre opere un valore pari a quello del sangue del Salvatore offerto come riscatto per i nostri peccati. Voi fate di più, dichiarate insufficiente il suo sacrificio, poiché lo completate con le vostre virtù. Quello che state facendo è l'apice dell'orgoglio elevato al più alto potere, poiché in questa bilancia, dove l'occhio della fede vede solo il sangue di Gesù Cristo, voi gettate coraggiosamente la polvere orgogliosa delle vostre opere.

Quando un principio viene accettato, bisogna aspettarne le legittime conseguenze, altrimenti sarà considerato irrilevante; ma se vuoi che Dio accetti le tue opere in cambio del suo cielo, queste devono almeno essere degne di lui. Ora, un essere perfetto, santo, puro ha bisogno di opere perfette, sante e pure.

Ne ha bisogno, perché i suoi occhi sono troppo puri per vedere il male, e nulla di impuro può entrare nel suo regno; ma per tali opere ha bisogno di uomini perfetti, santi, puri.

Tu lo sei?.... Non c'è risposta evasiva a una domanda posta in modo così chiaro, avanti! un sì o un no, perché uno non è perfetto, santo, puro, quando uno è un po' perfetto, un po' santo, un po' puro.

Un sì, non è vero, è molto difficile da pronunciare, soprattutto quando ci troviamo di fronte a questa coscienza che a volte ci pone all'inferno, quando il mondo ci mette in paradiso. E se oggi vi dicessi che siete davanti a Dio, senza macchia o rimprovero, credereste, e avreste ragione, che voglio essere ironico; così, pur rendendo omaggio alle vostre virtù sociali e domestiche e alla vostra religiosità, siamo d'accordo che non siete né perfetti, né santi, né puri; perciò le vostre opere non sono né perfette, né sante, né pure. Traggo quindi la conclusione e dico:

Quindi Dio non può accoglierle; se tu sostenessi il contrario, ti chiederemmo di dirci cosa ne farebbe di queste, perché possono meritare il paradiso solo per quanto a Lui sarebbero utili. Perché se non gli sono di alcuna utilità, è difficile capire che Egli ricompensa per qualcosa che non gli è di alcuna utilità. Ebbene, apriamo il catalogo delle vostre opere meritorie, e forse ne scopriremo alcune, che, pur non essendo perfette, sante o pure, possono comunque meritare qualcosa per voi.

Ma qui ci troviamo particolarmente in imbarazzo per te, perché cosa vuoi che Dio faccia del tuo oro, della tua scienza, del tuo potere, della tua intelligenza, della tua memoria, della tua saggezza? Il tuo oro sarà in grado di arricchirlo? La tua scienza sarà in grado di istruirlo? La tua intelligenza sarà in grado di accrescerne la conoscenza? La tua intelligenza sarà in grado di accrescerne la potenza? La tua memoria sarà in grado di ricordargli qualcosa che ha dimenticato? La tua saggezza sarà in grado di renderlo più saggio?

Io cerco, cari lettori, e trovo solo una cosa che Dio vuole ricevere da voi, e cioè i vostri peccati, per lavarli via nel sangue espiatorio della croce.

Quando si sbaglia in questioni dogmatiche, si è capaci solo di fare passi falsi e di passare da un'incongruenza all'altra. Infatti, i partigiani delle opere meritorie rovesciano involontariamente il Vangelo sulla sua base più fondamentale, volendo il cielo solo in cambio di un pagamento, quando Dio lo dà solo gratuitamente.

Infatti, il cielo può essere solo un bene da acquisire o un'eredità da ricevere; se si tratta di un bene da acquisire, non potete permettervi di pagarlo; se si tratta di un'eredità, perché volete comprarlo? Un padre vende il suo? Un figlio ha mai l'idea di acquisire ciò che il padre gli ha lasciato in eredità? Il cielo è indubbiamente una proprietà, appartiene a Dio, che lo dona e non lo vende. No. Se ne dubitate, leggete la Sacra Parola che ci dice in termini formali che la vita eterna è un dono di Dio, e che i credenti sono coeredi di Cristo ed eredi della vita eterna. (I. Giovanni, cap. 2, v. 25; Rom., cap. 8, v. 17).

Più la questione delle opere meritorie viene gettata nel torchio da vino, più emerge la verità che non solo queste opere non meritano nulla, ma che sono ancora peccati di orgoglio e cecità, perché negano a Dio il suo amore e a Cristo il suo toccante e ineffabile titolo di Salvatore. E se finalmente ricapitoliamo queste cosiddette opere meritorie, scopriamo che non hanno nessuna delle caratteristiche che potrebbero renderle tali:

Non fate niente di buono se Dio non vi dice di farlo.

Il bene che è in te viene da Lui.

Il paradiso è troppo costoso per essere abbastanza ricco da poterlo comprare.

Le vostre opere non sono né pure, né sante, né perfette.

Dio non saprebbe cosa farne, perché il vostro bene non viene a Lui.

Ciò che si vuole acquistare non è in vendita.

Come vedete, cari lettori, non ci ribelliamo al pelagianesimo per spirito di organizzazione, perché quando lo combattiamo, è con la doppia autorità della parola e della ragione. Vorremmo avere una discussione più intensa e serrata, e tenere tra le mani una lama più penetrante per puntarla dritta al cuore e alla testa, perché è la forza materiale del cattolicesimo e la debolezza morale della Riforma. Ma in questa lotta buona e santa, non possiamo che mettere al servizio del nostro Maestro la somma di luce e di forza che ci ha dato nel suo amore e nella sua saggezza.

François Puaux - tratto dal libro: Essai sur la religion des gens du monde


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