BREVE INTRODUZIONE AL CRISTIANESIMO

BREVE INTRODUZIONE AL CRISTIANESIMO 

 


I.   

Non tutti quelli che si dicono cristiani, lo sono. Il cristiano riceve tal nome da Gesù Cristo, e Cristo volendo dire la stessa cosa che l'Unto dello Spirito Santo, ne segue che, chiunque si dice cristiano, può con ragione affermare di essere unto dallo Spirito Santo di Cristo; e vantarsi che lo Spirito di Cristo dimora in lui, purché creda in Esso di vero cuore, come nell'unico suo Salvatore; e che, in tutto il corso della sua vita, lo segua costantemente fino all'ultimo sospiro. Chi non può dire questo, non deve nemmeno chiamarsi cristiano.   

II.    

Paragonando dunque una persona l'eccellenza di questo nome con la sua vita, ed arrivando, mediante la grazia divina, a conoscere quanto a torto ed indegnamente si usurpi il nome di Cristiano, deve subito, senza differire un momento, convertirsi interamente a Dio; poiché non vi è cosa più terribile, che di essere incerto della propria salvezza, e nello stesso tempo non aspirare ad avere una positiva certezza.   

III.    

È necessario però, in primo luogo, che l'uomo riconosca i suoi peccati, poiché dice il Signore: «Io sono benigno, e non rimango adirato per sempre; soltanto riconosci la tua iniquità, poiché tu hai commesso peccato contro al Signore Iddio tuo» (Ger. 3, 12, 13).  Affinché dunque ciò avvenga, la persona deve, dall' intimo del suo cuore, umiliarsi davanti a Dio, supplicarlo umilmente che voglia concedergli la cognizione del suo povero e miserabile stato; né deve reputarsi migliore degli altri, ma stimarsi piuttosto il maggiore peccatore del mondo. Un uomo che abbia tali sentimenti di sé stesso (essendo purtroppo vero, che in noi si trova la sorgente e semenza d'ogni male), benché gli sembri esservi altri peccatori maggiori di lui, non gli pregiudica, ma si umilia e ricorre di vero cuore e con umile fiducia alla grazia di Dio.  

Al contrario, se la persona si crede di essere qualcosa, in fatto non vale niente, e si fa un danno irreparabile.   Perciò, non deve essa soltanto riconoscere per gravi peccati quelle scelleratezze esteriori, come sono il rubare, il fornicare, il bestemmiare, l'ubriacarsi, ed altre simili (potendosene astenere anche i pagani e gli increduli stessi); ma principalmente l'uomo deve riflettere sopra la propria incredulità, che è l'origine e la radice dei più gravi peccati.  

Quando dunque una persona si accorge di aver vissuto in un tale profondo letargo, non potrà non esser convinta, che tutte le sue azioni di moto, di riposo, di mangiare, di bere; le sue preghiere, il frequentare le chiese, ed insomma le parole, le opere, i pensieri e qualsiasi suo disegno, sono stati peccati continui; mentre «senza la fede è impossibile piacere a Dio; e ciò che non è secondo la fede, è peccato» (Ebr. 11, 6; Rom. 14, 23). — Che se venisse il dubbio, se le azioni sopraccennate fossero, nella maniera già detta, peccati, consideri un po' se non ha sempre fin qui vissuto solo intento a passare con agi e con comodità la sua vita, senza avere alcuna, o almeno pochissima cura della salvezza dell'anima. Se la persona resta di ciò convinta, bisogna ancora che confessi di non aver fatto più di quello che fanno gli Ebrei, i Turchi e gli increduli.  

Un vero cristiano, al contrario, sia che mangi o beva, operi o pensi, fa tutto alla gloria di Dio (1 Cor. 10, 31), non si prende fastidio di questa vita temporale, ma aspira solamente all'eterna, secondo l'avvertimento di Cristo: «cercate in prima il regno di Dio, e la sua giustizia; e tutte queste cose vi saranno sopraggiunte (Matt. 6, 33). Chi non fa ciò, è un infedele, un pagano, dicendo Gesù Cristo (Matt. 6, 23): «Se il tuo occhio è difettoso, tutto il tuo corpo sarà ottenebrato».  

IV.   

Quando dunque un uomo riconosce di essere povero e miserabile peccatore,  di avere fino ad oggi vissuto in disgrazia di Dio, e fuori di Gesù Cristo;  che si vantava di essere cristiano senza esserlo, non può non pentirsi; anzi,  risentirà rossore per se stesso, ed un disgusto grandissimo per essere stato sino ad ora un così pazzo ed insensato;  si vergognerà di avere cercato con tanta avidità le cose mondane, e trascurate quelle eterne; di avere fatto l'ipocrita con il pretendere il titolo di buon cristiano, senza aver né fede, né carità;  e di avere così sfacciatamente e così spesso irritato, con i più enormi delitti,  la bontà di un Dio così amabile, così clemente e fedele, che per pura grazia gli offre la salvezza,  ed una salvezza senza fine.  

Non potrà non rincrescere ad un tale persona di aver speso tanti e tanti anni al servizio della carne, dei propri sensi e del demonio, invece di aver servito Iddio, come lo richiedeva il suo debito. Quando, dico, simili pensieri vengono in mente ad un uomo, vorrebbe egli allora, se fosse possibile, rimediare al suo male; ma, come al fatto non v'è rimedio, si affligge di non poter riparare di così grandi falli, ed in questa afflizione si pente degli errori commessi.   

Simili pensieri sono ottimi, e si guardi bene tale persona di non bandirli, per timore di diventare malinconico, o di soccombere alla disperazione; questi fortunati sentimenti son quella tristezza d'animo, «che è secondo Dio, la qual produce una penitenza stabile per la salvezza» (2 Cor. 7, 10). — Bisogna in tal caso pregare Iddio, affinché voglia, per mezzo del suo santissimo Spirito, produrre in noi un vero ed ingenuo rimorso di coscienza; affinché, risentendo bene l'amarezza dei propri peccati, concepiamo un santo orrore per essi, e non ricadiamo più nei disordini di una vita così sregolata e così piena di ogni vizio.   

V.   

Non deve però la persona, come Caino e il traditore Giuda, restarsene semplicemente in questo pentimento; ma, contrito come egli è, e con l'animo penitente e devoto, rifugiarsi sotto la croce di Gesù, ricordandosi le parole amorevoli del Signore: «Venite a me, voi tutti che siete travagliati e aggravati, ed io vi darò riposo» (Matt. 11, 28). Questo conforto non gli mancherà, purché con cuor umiliato e contrito riguardi attentamente la morte e la passione del Nostro Salvatore, ed il Suo merito infinito;  non cessi di pregare, d'implorare la misericordia divina, di cercare e picchiare sin tanto che si senta esaudito, e che scorga aperta la porta della grazia, si senta perdonato da ogni colpa per il sangue di Gesù Cristo, e resti riconciliato interamente per la mediazione del Figlio con il celeste Padre, il quale possa egli poi invocare con vera fiducia ed in virtù - dello Spirito Santo, dirgli: Abba Padre.  

 VI. 

Non s' immagini però alcuno di poter da sé stesso ed a suo piacere giungere a tale fede, poiché questa non vien da noi, ma è un semplice e gratuito dono di Dio (Efes. 2, 8), a cui deve essere dato l'onore e la gloria; supplicandolo che voglia accendere in noi, per mezzo del suo santissimo Spirito, questa viva fede, affinché la salvezza nostra non sia più una cosa immaginaria, ma vera e reale, fondata sopra una certezza divina, la quale deriva da quella viva e verace fede. 

Ottenuta l'uomo questa viva fede da Dio, non dubiterà più della remissione dei peccati, e potrà vantarsi, «che se uno è in Cristo, egli è nuova crea tura: le cose vecchie son passate; ecco tutte le cose son fatte nuove» (2 Cor. 5, 17). Dio gli ha ormai dato un'altra mente ed altre inclinazioni, che non ebbe in passato, per provvedere alla salvezza dell'anima. Egli non aspira più alle cose del mondo, ma ricerca solo quelle eterne. Si studia solo di piacere a Dio; non sa più far discorsi frivoli ed inutili, e, dovendolo fare per avventatezza, sente la mente agitata e la coscienza inquieta. Molto meno s'azzarderà un tale d'intraprendere l'una o l'altra cosa stimolato dalla carne; ma, facendolo, vorrà maturamente esaminare, se la cosa da intraprendersi si accordi o sia contraria alla volontà di Dio.  

Così vive la persona perfettamente in Dio, lontana dal mondo; non più ingombra da pensieri mondani, né più con la mente piena di premeditate fortune; ha il cuore e tutti gli altri affetti suoi unicamente in Dio. I suoi disegni mirano tutti in alto, ed hanno il cielo per loro scopo, dov'è Cristo, Iddio suo. Le cose mondane non possono più allettare quest'anima, poiché essa ha imparato a conoscere altre cose senza paragone più eccellenti di quelle. Insomma, essendo fermamente persuasa d'esser giustificata davanti al suo Dio, quest'anima si adopra con tutte le sue forze per conservarsi la giustizia, così felicemente acquistatasi per mezzo di Gesù Cristo, la quale essa potrebbe facilmente perdere se ricadesse nella vita peccaminosa di prima. Perciò si forza, per quanto può, di condurre, a differenza della vita passata, una vita santa e del tutto innocente.  

VII.   

Supponendo dunque che l'uomo, per grazia del suo Dio, si trovi in un così buono stato, deve allora guardarsi di non voler pretender da sé stesso di diventare migliore; lasci quest'onore al suo Salvatore, «il quale ci è stato fatto da Dio sapienza, e giustizia, e santificazione, e redenzione» (1 Cor. 1, 30); voglio dire, che egli con tutta umilità implori l'aiuto di Dio, che per mezzo della fede e credenza in Gesù Cristo voglia sempre di più purificare il suo cuore. In questa maniera la fiducia dell'uomo resta sempre fissata in Dio, il quale, se gli diede il volere, gli darà anche il compiere il bene (Fil. 2, 13). Così può la persona adoperarsi alla salvezza della propria anima con timore e tremore (Fil. 2, 12), e fare attenzione di non ricader di nuovo in una carnale, anzi bestiale, sicurezza; pregando incessantemente la Maestà divina, che voglia rinvigorirla ed accrescergli la fede, consistendo ogni accrescimento di essa nell'essere bene e fondamentalmente radicata in Cristo. In questo modo, e non altrimenti, abita Cristo, per mezzo della fede, nei cuori nostri; da cui riceve in seguito incremento e forza l'uomo interiore.   

VIII.   

Per questa fede, che Dio alle sue ripetute domande e preghiere volentieri accrescerà, si disponga l'uomo a seguir Gesù Cristo, «rinunziando all’empietà ed alle umane concupiscenze, vivendo nel presente secolo temperatamente, giustamente e piamente; aspettando la beata speranza, e l'apparizione della gloria del grande Iddio e Salvator nostro Gesù Cristo» (Tito 2, 12, 13), continuando in ciò fino alla fine. Per questa fede conviene che egli crocifissa la sua carne, il sangue, gli affetti e tutti i suoi appetiti. Senza indugio che se si accorge sollevarsi nella sua carne qualche appetito o desiderio sensuale, deve subito sopprimerlo, e non dargli tempo di prender vigore; poiché egli è ormai divenuto figlio di Dio, fratello di Gesù Cristo, erede della vita eterna, e vero cristiano di nome e di fatto. Ciò è quello che vuol dire esser unto dello Spirito Santo; e come tale ha ricevuto, e riceve sempre di più, nuove forze da Dio per resistere efficacemente all'impeto delle proprie passioni, che altrimenti lo precipiterebbero di nuovo nell' orgoglio, nell' avarizia, ed in tutti gli altri peccati della vita esteriore.    

IX. 

Per questa fede il cristiano deve rimettere tutta la sua vita nelle mani del suo amorevolissimo Dio, da cui egli viene così teneramente amato; né da Lui sarà essa assolutamente dimenticata. Scacci un tale, perciò, senza dubbio dal suo cuore ogni cura, timore ed inquietudine, né perda quella filiale fiducia che viene così abbondantemente rimunerata; non tralasciando però di applicarsi a quel lavoro, cui fu chiamato dal cielo; e quando opera, la faccia a gloria di Dio (1 Cor. 10, 31), ad utilità del suo prossimo e per il proprio sostentamento, purché ciò sia senza avarizia, e senza attribuirlo come dovuto alle proprie fatiche; ascrivendo invece unicamente ogni bene alla benedizione del celeste Padre, senza la quale vediamo pur troppo che molti si affatica giorno e notte, e non hanno né contento né pace.   

Oltre a ciò, si richiede, che l'uomo in questa e per questa fede, con intera rassegnazione alla volontà del Supremo Signore, si accontenti di tutto quello che Dio gli dona; ricevendo, con indifferenza ed obbedienza costante, dalle mani del Signore, la povertà, le malattie ed ogni altra prova, che comunemente abbatte gli animi degli infedeli, e mette in disperazione quelli che quella fede non ce l’hanno. Un fedele deve esser persuaso che tutto gli viene dalla mano del suo pietosissimo Padre, che è certamente così fedele che non mancherà di far concludere tutto in bene, essendo scritto, «che tutte le cose cooperano al bene, a coloro che amano Dio» (Rom. 8, 28).  

Per mezzo di questa fede conviene che egli coraggiosamente superi e vinca quanto gli può accadere, supposto anche che dovesse soffrir disprezzo, derisione ed ogni sorta di persecuzione. E qual più bella gloria che di soffrire per l'amore di Dio? Infatti, vuole l'apostolo, e Gesù Cristo stesso (Matt. 5, 12), che un tale «si rallegri, e stimi per grazia grande d'essere stato reputato degno d'esser vituperato per lo nome di Gesù» (Att. 5, 41; 2 Cor. 12, 10; Filip 1, 29; 1 Piet. 4, 13, 16).  

Infine, in qualunque stato sia l'uomo, si accontenti, per mezzo della fede, della grazia del suo Dio (2 Cor. 12, 9), ed essendo certo di possederla, impari a ripetere, nell'intimo dell'anima, le parole del Salmista: «Signore! tu mi ha preso per la man destra, tu mi condurrai per il tuo consiglio, e poi mi riceverai in gloria. Chi è per me in cielo, fuor che te? Io non mi diletto in altri, come in te, in terra. La mia carne, ed il mio cuore eran venuti meno, Ma Iddio è la rocca del mio cuore, e la mia parte in eterno» (Sal. 73, 23-26).  

X.   

Ai punti sopra indicati si aggiunge che l'uomo, per questa fede, deve interamente darsi a Dio, in modo che in questa vita non vive nemmeno a sé stesso, ma a Colui che è morto e risuscitato per esso (2 Cor. 5, 15). Così eseguirà egli puntualmente i comandamenti di Dio, ed amerà Dio è il prossimo suo di un amore ingenuo ed ardente, siccome «Chi dice di conoscer Gesù Cristo e non osserva i suoi comandamenti, è un bugiardo, e la verità non è in lui» (1 Giov. 2, 4).  

Questa fede non gli lascia più fondare le sue speranze sopra i propri beni e fortune, molto meno sopra l'autorità e grazia degli altri uomini; ma essendo tutto di Dio si abbandona del tutto alla grazia del suo celeste Padre, non preoccupandosi di altra disgrazia, se non quella unicamente di Dio. Questa fede non gli permette più di conformarsi al mondo, quando anche, a causa della sua integrità, venisse da tutti tenuto per un insensato e pazzo. Un tale conosce bene quanto inutile e falsa sia la pietà esteriore quando non venga accompagnata da quella interna; quindi, avviene che egli instancabilmente si adopera a riformarsi, e non solo a bandire da sé i peccati esteriori, ma singolarmente a depurare il suo interno, affinché nessun pensiero cada più ad acconsentire alla minima offesa verso Dio.  In tal caso si può dire che una persona fondata nella fede vive sempre come se vivesse alla presenza del suo Dio, davanti agli occhi del suo adorato Salvatore: e gioisce della sua comunione con Dio. Egli non si compiace delle sue opere buone, benché viva sempre in esse, né si cura di acquistarsi la cognizione di molte scienze, essendo fermamente persuaso, che l'amare Dio sorpassa ogni altra scienza (Efes. 3, 19).  

Questa stessa fede fa che egli non si dà fastidio d'osservare gli errori degli altri trovando in sé persino troppo da correggere e da riformare continuamente. Non già che vedendo essa peccare il suo prossimo non si muova a compassione: anzi, presentandosi l'occasione, non mancherà di riprenderlo amorevolmente e d'ammonirlo con carità fraterna. Infine, per questa viva e verace fede, si lascia, qual bambino e figlio di Dio, condurre dallo Spirito Santo, e governare a beneplacito divino; e se per disgrazia cade in qualche errore, rilevandosi con molta prestezza, non resta abbattuto, né s'illude sul suo proprio male, ma giudica sé stesso per non restar giudicato da Dio (1 Cor. 11, 31).  

In tal modo procaccia di divenire di giorno in giorno più perfetto e migliore, aspettando nel mentre con pazienza, speranza e fede, il giorno della sua chiamata all'eternità, la venuta del Signore Gesù Cristo, e la corona della gloria eterna, la quale dovrà ricevere dalle Sue mani, per pura grazia e per eccesso della sua infinita misericordia.   

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