LETTERA DEDICATORIA alle Cento e dieci divine considerazioni di Giovanni Valdés

Proposta da Celio Secondo Curione

CELIO SECONDO CURIONE, servo di Gesù Cristo, a tutti quelli, i quali sono santificati da Dio Padre e salvati e chiamati da Gesù Cristo nostro Signore, la misericordia, la pace e la carità di Dio vi sia moltiplicata.

Ecco, fratelli: noi vi diamo qui non le Cento novelle del Boccaccio, ma le Cento e dieci considerazioni del Valdesso, le quali di quanta importanza siano, vengo a dichiararvi. Hanno scritto molti, e antichi e nuovi, delle cose cristiane, e fra di essi alcuni meglio degli altri; ma chi meglio, più saldamente e più divinamente abbia scritto che Giovanni Valdesso, dopo gli apostoli del Signore ed evangelisti, sarebbe forse difficile da ritrovare. Dei grandi libri, certamente, ed operosi e molti, alcuni di loro hanno lasciati; ma fra quelli molti altresì di poca importanza, né molto necessari al vivere cristiano, ma pieni di questioni inutili e di filosofiche disputazioni, dalle quali sono nate mille inconvenienti nella Chiesa di Cristo. E, perché si veda che io dico il vero, ne proporrò qui alcuni di questi inconvenienti, dai quali si potrà agevolmente far giudizio degli altri. Prima, dunque, perché hanno scritto dei grandissimi libri, non hanno potuto fuggir le menzogne, le follie e le vanità. Poi, questi gran scrittori hanno tutta la Scrittura tirata a questioni e disputazioni, e ne hanno fatto una accademia, dubitando quasi di ogni cosa, talmente che hanno resa tutta dubbiosa la dottrina del Figliuol di Dio e degli apostoli suoi e l'infallibile e certissima speranza della eterna vita. Ma questo, che dirò ora, non è meno importante degli altri inconvenienti: che con suoi ampissimi e quasi infiniti volumi hanno ritirati gli uomini e alienati dallo studio delle Scritture veramente sante e dalla contemplazione della semplice verità, ed hanno fatto, dei discepoli di Cristo, discepoli degli uomini; talché siamo venuti a tanto, che più e maggior fede si dà a quelli che si chiamano « dottori » (come se Cristo e gli apostoli suoi non siano i veri ed eterni dottori e maestri della Chiesa), che alla semplice dottrina di Cristo. Questa è l'utilità, questa è l'edificazione, la quale da quegli immensi volumi nella Chiesa di Dio è ridondata.

La qual cosa vedendo il nostro signor Gesù Cristo, a cui la salvezza della sua Chiesa è stata più cara che la propria vita, ha eccitato e risvegliato alcuni, ed aperto loro gli occhi, i quali pian piano riducessero le pecorelle sue ai verdeggianti e salubri pascoli delle Scritture sante ed alle pure, chiare e soavi fonti della parola di Dio. Qui ognuno secondo il talento, cioè il dono ricevuto, si è affaticato. Ma a me pare, e spero che così parrà a tutti quei che della dottrina di Cristo hanno vero gusto, che questo nostro, in queste sue divine Considerazioni ed alcuni altri suoi scritti, ha così ben considerate e date a considerare a noi tutti gli uffici dell'uomo cristiano, che ben pochi vi possano mettere avanti il piede.

Egli non ha già scritti così numerosi grandi volumi e scartafacci, ma piccoli, ma pochi, ma puri, ma chiari, ma veramente divini. Hanno scritto molti delle virtù e costumi e uffici di uno uomo savio e da bene, come Aristotele, Panezio e Cicerone, e, fra i cristiani, Ambrosio e, in questa età, Tomaso Venatorio; ma nessun di costoro ne ha trattato così altamente, ne ha dimostrato così efficacemente, ne ha ragionato sì dolcemente, né con tanta maestà, né con tanta autorità, né con tanta grazia, come il Valdesso nostro. Questo, questo è veramente degno di esser chiamato il libro degli uffici cristiani, il libro delle cristiane dimostrazioni e delle veramente divine speculazioni.

Egli di ogni movimento, di ogni azione, di ogni evento, che sotto il cielo si faccia, o da Dio o dal diavolo, o dall'uomo pio o dall'empio, mostra l'origine, la ragione, i progressi e il fine; e tutto ciò da chiari, certi ed indubitati principi delle Scritture sante, accompagnati di così belli e tanto propri esempi e similitudini e comparazioni e divisioni e definizioni, che egli è necessario (se pur non vogliamo essere più ostentati e fuori del senso comune) a consentirvi. Che cosa deve l'uomo a Dio, che cosa a sé e che al suo prossimo; quanto sia il beneficio di Cristo, e a cui utile sia, l'infermità e la potenza di Cristo, la bassezza sua e la grandezza, la mortificazione nostra e vivificazione, l'elezione e riprovazione, e mille altri belli ed utili luoghi qui s'imparano chiaramente, e talmente che con la pratica di questo libro meglio intenderai tutte le cose necessarie della Scrittura santa che con i grandi e ponderosi commentari di molti.

Or di questo si grande e celeste tesoro ne siamo tutti debitori a messere Pietro Paolo Vergerio, come strumento della divina provvidenza, in farlo stampare, affinché da tutti potesse esser veduto e posseduto. Egli, venendo d'Italia e lasciando il finto vescovato, per venir al vero apostolato, al qual era chiamato da Cristo, portò con sé molte belle composizioni, e fece come si soul fare, o per incendio della casa propria o per sacco e sterminio di qualche città, dove ognuno scampa con le più care e più preziose cose, che egli si trova in casa; cosi il nostro Vergerio, non avendo cosa più cara che la gloria del Signor nostro Gesù Cristo, ne recò con sé quelle cose, le quali ad illustrarla ed allargarla potevano servire. Lasciò adunque i tesori terreni, e portò con sé i tesori celesti e divini, fra i quali questo ne è uno dei più belli e più rari che si potesse immaginare.

E, sapendo egli che le cose buone ed eccellenti tanto sono maggiori e migliori e più lodevoli, quanto a più persone sono comunicate, lasciò a me queste Cento e dieci considerazioni, affinché io le facessi stampare; il che, come vedete, ho fatto con quanta diligenza ho potuto e saputo fare. Queste Considerazioni, come sanno molti, furono prima dall'autore scritte in lingua spagnola, ma poi da una certa persona pia e degna, tradotte in lingua italiana; e però non hanno in tutto potuto lasciar le maniere di parlar che sono proprie della Spagna. E, oltre a ciò, vi sono ancora qualche parola, ma poche però, del linguaggio dell'autore: poiché Giovanni Valdesso fu di nazione spagnola, di parentado nobile, di grado onorato e splendido cavaliere di Cesare, ma vie più onorato e splendido cavaliere di Cristo. Non però egli seguì molto la corte dopo che gli fu rivelato Cristo, ma se ne stette in Italia e trascorse la maggior parte della vita sua in Napoli, dove con la soavità della dottrina e con la santità della vita guadagnò molti discepoli a Cristo, e massime fra gentiluomini e cavalieri e alcune signore in ogni maniera di lode lodatissime e grandi.

Pareva che costui fosse da Dio dato per dottore e pastore di persone nobili ed illustri. Benché egli fosse di tanta benignità e carità, che a ogni piccola e bassa e rozza persona si rendeva del suo talento debitore, e a tutti si faceva ogni cosa per tutti guadagnar a Cristo. E non solamente questo, ma egli ha dato lume ad alcuni dei più famosi predicatori d' Italia, il che io so, per aver conversato coi medesimi. Non ebbe moglie, ma fu contentissimo, né attendeva ad altro, per quanto poteva, che alla vera mortificazione, nella quale trovandolo la morte, fu perfettamente mortificato, per esser poi perfettamente vivificato nella resurrezione dei giusti, e godersene con Cristo nostro Signore.

Morì in Napoli circa l'anno 1540. Ha lasciato ancora alcune altre belle e pie composizioni, le quali per opera del Vergerio, come io spero, vi saranno comunicate. Orsù, dunque, fratelli e sorelle nella carità di Dio e nel prezioso sangue di Gesù Cristo, prendete questo tesoro, e pensate che non sta la cosa né l'averlo e possederlo, ma nell'uso e nel frutto che se ne raccoglie. Egli ha considerate queste belle cose, non per dar pasto alla sola immaginazione, ma per mandar ciò, che aveva considerato e risolto, in esecuzione. Bisogna aver la scienza sì, ma alla scienza bisogna insieme accompagnare la pratica; poiché tutta la lode di ogni virtù e arte consiste nella pratica e nelle azioni alla virtù ed arte convenienti.

E voi, che nella lezione delle Cento novelle del Boccaccio ed altri simili spendete tutto il vostro tempo inutilmente, lasciatele un poco da parte, e leggete queste Considerazioni del Valdesso, le quali sono veramente novelle, perché qui si ragiona di quella grande, divina e lieta novella dell’Evangelo di Gesù Cristo, del gran perdono dei peccati, della riconciliazione con Dio, fatta per la morte del Figliuolo di Dio.

Qui troverete i veri e santi innamoramenti di Dio e di Cristo con l'umana generazione; qui intenderete i veri abbracciamenti e veri baciamenti, fatti per mezzo dello Spirito santo; e finalmente qui troverete quali siano i veri diletti e piaceri degli animi di Dio e di Cristo innamorati e disinnamorati del mondo.

E, se la lingua non vi par tanto pulita e leggiadra quanto quella del Boccaccio, ricordatevi di quel che dice quel gran Paolo, apostolo di Gesù Cristo, che il regno di Dio consiste nella virtù dello spirito e non nella bellezza del parlare. Benché neanche questa maniera di parlare sia da spregiare: anzi io la trovo molto propria e bella a ciò che si vuole esprimere, che è la prima virtù dello scrittore. Ma qui io finisco il mio ragionamento, per non privarvi più della santa lezione di queste divine Considerazioni, le quali, leggendo, ancora voi diligentemente e con preghiera a Dio per me e per tutti considererete, affinché possiamo tutti innamorarci di Cristo e incorporarci con lui, siccome egli è incorporato con noi; a cui sia ogni onore e gloria in eterno.

Da Basilea, 1559, il primo di maggio.

L'opera Cento e dieci divine considerazioni di Giovanni Valdés è scaricabile nella pagina LIBRI EVANGELICI PDF  o nel seguente link diretto: https://drive.google.com/file/d/1d91CdU1q5T47_QCD5WlGYCPVJZNRuwTe/view?usp=sharing

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